«La specie umana ha fatto guerra al pianeta. Adesso il pianeta risponde. I cambiamenti climatici, da crisi sono diventati emergenza climatica globale (…) Finora gli sforzi sono stati gravemente inadeguati (…) Ci troviamo in una fossa e continuiamo a scavare (…) Siamo vicini al punto di non ritorno (…) Il mondo deve scegliere fra speranza e capitolazione»: così si è espresso il segretario generale delle Nazioni unite, Antonio Guterres, all’apertura della Cop25, il vertice intergovernativo – «conferenza delle parti» – sul clima apertosi ieri a Madrid con 196 delegazioni (50 i capi di Stato), firmatarie dell’accordo di Parigi raggiunto nel 2015 alla Cop21. La prima Conferenza delle parti della Convenzione Onu sui cambiamenti climatici si tenne nel 1995, mentre celebra i quarant’anni la prima Conferenza Onu su quella che nel frattempo è diventata l’urgenza più pressante dei nostri tempi.

Guterres ha anticipato il rapporto della Organizzazione meteorologica mondiale (Wmo) secondo la quale gli ultimi cinque anni sono i più caldi mai registrati e i livelli medi di anidride carbonica in atmosfera hanno superato le 407,8 parti per milione. Davanti a conseguenze devastanti, come «disastri naturali sempre più frequenti e distruttivi, siccità e gli uragani, aumento del livello dei mari, scioglimento delle calotte polari, perdita di biodiversità», Guterres ha dichiarato che «abbiamo bisogno di cambiare rapidamente il modo di produrre, di generare energia, di costruire le città, di muoverci e di alimentare il mondo».

Del resto, «i segni di speranza si moltiplicano: le tecnologie esistono, l’opinione pubblica si è risvegliata dovunque, i giovani stanno mostrando grandi capacità di mobilitazione, sempre più città e imprese si impegnano sull’obiettivo di 1,5° C ma quello che manca è la volontà politica: imporre un prezzo al carbonio, eliminare i sussidi ai combustibili fossili, chiudere le centrali a carbone entro il 2020, passare dalle tasse sul reddito alla carbon tax, puntare sulle energie rinnovabili e su soluzioni naturali»; e pensare alla «dimensione sociale, prevedendo una giusta transizione occupazione dalla economia grigia a quella verde».

Una svolta a 180 gradi è necessaria se vogliamo contenere entro 1,5° C l’aumento della temperatura rispetto all’epoca preindustriale, obiettivo imprescindibile anche se forse non sufficiente. «La comunità scientifica ci dice che l’obiettivo 1,5° C è tuttora realistico», ha detto il segretario generale. Ma questo significa ridurre le emissioni di gas serra del 45% rispetto ai livelli del 2010 entro il 2030, e raggiungere zero emissioni nette entro il 2050.

Certo, fa sapere il recentissimo Emissions Gap Report del Programma Onu per l’ambiente (Unep), anche se tutti gli impegni incondizionati presi dagli Stati con l’Accordo di Parigi del 2015 fossero mantenuti, la temperatura aumenterebbe di catastrofici 3,2° C. È imperativo dunque quintuplicare gli sforzi.

Il 2020 sarà un anno cruciale. Alla Cop26, a Glasgow, l’accordo di Parigi diventerà pienamente operativo e i paesi dovranno aver elaborato nuovi piani nazionali (Nationally Determined Contributions), molto più ambiziosi degli attuali. Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea, ha annunciato a Madrid che fra pochi giorni la Commissione pubblicherà il suo nuovo piano ambientale, il Green Deal europeo, e a marzo 2020 «una proposta per una legge di transizione irreversibile verso la neutralità climatica». Occorrerà un trilione di euro nei prossimi dieci anni. «Ma ci costerà di più se non agiremo ora».

Sul piatto alla Cop25 di Madrid ci sono temi cruciali come l’adattamento, la trasparenza, la finanza, la questione indigena, gli oceani, le foreste, gli indennizzi. A proposito: Guterres ha ricordato la necessità di investire 100 miliardi di dollari per i programmi di mitigazione e adattamento nei paesi in via di sviluppo, in nome dell’equità. La voce dei piccoli Stati insulari del Pacifico, vicini a inabissarsi, si è levata ancora una volta: «Lottiamo per non morire e rifiutiamo di fuggire», ha detto Hilda Heine, presidente delle Isole Marshall, mentre la stessa capitale Majuro è investita dalle maree.
Intanto un nuovo rapporto di Oxfam ricorda che le migrazioni forzate a causa di eventi legati al clima negli ultimi 10 anni sono aumentate di 5 volte e hanno costretto oltre 20 milioni di persone ogni anno a lasciare le proprie case per trovare salvezza altrove.