Con la crisi climatica, siamo abituati a leggere scenari più o meno catastrofici sull’innalzamento del livello del mare. Intere aree d’Italia vengono rappresentate sott’acqua entro 80 anni, ma spesso si tratta di approssimazioni. L’agenzia Enea ha invece appena messo a punto un modello innovativo e accurato per il Mediterraneo. Lo studio, realizzato da un team di climatologi, oceanografi, informatici e geologi, è consultabile in inglese sulla rivista Remote Sensing e una sintesi in italiano si trova nel recente rapporto «Spiagge 2024» di Legambiente. Ne abbiamo parlato col ricercatore Sergio Cappucci, primo autore dello studio.

Quali sono gli aspetti innovativi del vostro modello?
Enea studia da molti anni gli scenari di allagamento delle pianure costiere, le aree più vulnerabili alle conseguenze dell’innalzamento del mare. La scienza ha sempre fatto questi calcoli su scala globale, ma con un certo grado di imprecisione per un’area speciale come il Mediterraneo, che si trova a un livello più basso dell’Atlantico per le ridotte dimensioni dello stretto di Gibilterra. Perciò abbiamo messo a punto un modello ad alta risoluzione, che ci permette di prevedere la curva dell’innalzamento del Mediterraneo con un’accuratezza di 7 km, e abbiamo fatto le prime proiezioni su alcune aree d’Italia.

Quali sono le aree a maggiore rischio?
Tra quelle che abbiamo esaminato, il litorale di Roma, la pianura pontina col parco nazionale del Circeo e le località di Follonica, Piombino e Alghero. Si tratta di territori in cui insistono centri abitati e riserve naturali dal valore incalcolabile, che saranno allagati se non faremo nulla. Oltre alla grave perdita di biodiversità, le inondazioni renderanno invivibili queste aree per gli esseri umani e uccideranno economie molto sviluppate, come il turismo. Per questo converrebbe investire in specifiche strategie di adattamento locale. È la fase più lunga e costosa, ma è vitale avviarla.

Perché lo studio ha preso in considerazione solo 10 zone della penisola?
Il metodo è nuovo, perciò abbiamo deciso di partire dalle aree più stabili dal punto di vista tettonico e geologico. L’innalzamento del mare è influenzato da altri fattori come la subsidenza e il bradisismo, perciò gli effetti possono essere diversi a parità di curva. Per esempio, sul Tirreno i Campi Flegrei si stanno alzando, mentre il golfo di Follonica si sta abbassando. Sull’Adriatico, in Romagna c’è una subsidenza accentuata che può determinare allagamenti più profondi, seppure questo mare si stia alzando in modo più contenuto rispetto agli altri.

Quali scenari emergono dal vostro studio?
Le nostre proiezioni sono più conservative rispetto ad altri modelli. La comunità scientifica sta molto dibattendo su questo: per favorire il contrasto alla crisi climatica, è meglio comunicare l’ipotesi peggiore oppure essere il più precisi possibile? Nel secondo caso, spesso significa essere più rassicuranti. Ma ciò non implica che il fenomeno sia da sottovalutare.

Come può essere applicato lo studio?
Crediamo di avere impostato un metodo che riduce alcune voci di incertezza e che sarà sempre più preciso, man mano che le rilevazioni satellitari aumenteranno. Il tema interessa molti settori, per esempio le compagnie assicurative che hanno i loro modellisti per calcolare i coefficienti di rischio sulle polizze contro le catastrofi naturali. Per comunicare risultati complessi in modo semplice, abbiamo disegnato delle mappe a colori con gli scenari al 2040, 2070 e 2100 e abbiamo distinto le aree urbanizzate da quelle naturali. Infine, abbiamo evidenziato i territori più vulnerabili, cioè che potrebbero finire sott’acqua per molti mesi o in modo permanente. Ma ciò non significa che accadrà davvero; anzi, il nostro studio vuole proprio indirizzare gli interventi per evitarlo.

Quali possono essere le strategie?
Oggi sappiamo di dover ridurre le emissioni di CO2 per rallentare l’aumento delle temperature e quindi l’innalzamento del mare. Inoltre dovremo adattarci, costruendo opere che ci proteggano dalle inondazioni e bacini per gli allagamenti, oppure spostando interi insediamenti. Si tratta di azioni di adattamento da valutare caso per caso.