Si sono chiusi ieri i tre giorni di lutto nazionale decretati dal presidente Roch Marc Christian Kaboré, dopo che nella notte tra venerdì e sabato un gruppo di miliziani jihadisti ha ucciso oltre 160 civili – di cui almeno 20 bambini – nel più mortale attacco condotto nel paese dal 2015.

«Un’incursione omicida compiuta da oltre una cinquantina di uomini nella cittadina di Sohlan, vicino al confine con Mali e Niger – ha dichiarato Ousseni Tamboura portavoce del governo in un comunicato ufficiale -, hanno distrutto case, il mercato locale e due postazioni dei Volontari per la Difesa della Patria (Vdp), uccidendo chiunque incontrassero al loro passaggio tra uomini, donne e bambini».

Critiche nei confronti del governo anche per l’utilizzo poco efficace dei gruppi di difesa locale dei Vdp – ausiliari civili impegnati nella lotta anti-jihadista al fianco delle forze di sicurezza – che espongono ancora di più la popolazione locale, accusata «di supportare il governo, fornendo informazioni sugli spostamenti dei miliziani nella zona», alle rappresaglie dei miliziani.

IL BRUTALE ATTACCO – non ancora rivendicato ma attribuito allo Stato Islamico dalla stampa locale – è l’ultimo di una serie nella regione dei “tre confini” (Burkina Faso, Niger e Mali).

Secondo l’analista Siaka Coulibaly, gli attentatori hanno avviato una nuova fase con la strage perpetrata nel villaggio di Solhan. «È la prima volta che si registrano tanti civili uccisi in un’unica incursione – ha dichiarato all’Afp – per questo la popolazione burkinabè ha dubbi sulla capacità del governo di contenere l’insurrezione terroristica che è in costante aumento».

Domenica sono state numerose le manifestazioni di cordoglio, ma soprattutto di protesta, da parte della popolazione che ha chiesto al governo «di adottare nuove misure per evitare il ripetersi di simili stragi».

IN QUESTI ULTIMI MESI, nella zona dei “3 confini”, il Gruppo di sostegno all’Islam e ai musulmani (Jnim), affiliato ad Al-Qaeda, e lo Stato Islamico del Gran Sahara (Eigs) hanno rafforzato la loro presenza, lanciando frequenti attacchi e rendendo ingovernabili ampie zone, con l’obiettivo dichiarato di «delegittimare i governi centrali» e di «evidenziare l’inefficacia dei numerosi militari presenti nella zona».
Una risposta, in particolare, alla presenza sia dei mille militari ciadiani della forza del G5- Sahel che dei nuovi «contingenti militari stranieri» previsti dalla missione internazionale Takuba, che impegna 12 paesi europei tra cui Germania, Gran Bretagna, Portogallo, Olanda e Italia.

IL NOSTRO MINISTRO DELLA DIFESA Lorenzo Guerini ha reso noto, dopo un recente viaggio in Niger e Mali, che «i militari italiani saranno operativi in operazioni di addestramento e supporto logistico nell’area e da luglio avranno una propria base in Niger». Un concreto impegno «in misure di contrasto al fenomeno jihadista», che lascia di fatto intuire un possibile coinvolgimento diretto di soldati italiani in uno dei fronti più caldi dello jihadismo globale.