Le celebrazioni per i 200 anni dell’indipendenza dal Portogallo, con un’adunata delle forze più reazionarie del paese a sostegno di Bolsonaro, non hanno visto la partecipazione delle comunità indigene. Gli indigeni non hanno niente da festeggiare perché, anche dopo la fine del periodo coloniale, lo sterminio di intere popolazioni è continuato e la visione coloniale dell’Amazzonia si è perpetuata. E Bolsonaro è il primo presidente ad essere denunciato per genocidio al Tribunale penale internazionale dell’Aia, con l’accusa di aver istituzionalizzato le politiche di violenza nei confronti delle comunità indigene e di aver trasformato le violazioni dei diritti umani in politiche pubbliche, facendo della Funai (Fondazione per l’indio) un organismo anti-indigeno.

MOLTI DI QUELLI che oggi festeggiano l’indipendenza del Brasile sono corresponsabili dei massacri dei popoli originari. Si stima che all’inizio del 1500 erano più di tre milioni gli indigeni presenti in quello che è l’attuale territorio brasiliano. Un esempio di genocidio dei giorni nostri riguarda quello che è stato definito «Indio do buraco», uno straordinario uomo della foresta vissuto per più di 25 anni in una condizione di isolamento per difendersi dalla presenza invasiva e minacciosa di fazendeiros, garimpeiros e taglialegna. Ha rappresentato, a partire dalla metà degli anni ’90, il simbolo della resistenza dei popoli indigeni isolati del Brasile. Gli operatori della Funai lo hanno trovato senza vita nella Terra indigena Tanaru (Rondonia) il 24 agosto, adagiato su un’amaca con accanto numerosi oggetti rituali.

LO STATO BRASILIANO definisce «isolados», i gruppi di indigeni che vivono in isolamento volontario. Gli antropologi parlano di «popoli liberi», «resistenti», «non contattati». L’indio che scavava buche per nascondersi o catturare animali, forse espressione di un rituale spirituale, era uno di essi ed era rimasto solo, dopo che tutti i componenti della sua comunità erano stati uccisi. Nessuno conosceva il suo nome, l’etnia di appartenenza e che lingua parlasse. Aveva circa 60 anni. Le analisi e le indagini effettuate sul suo corpo all’istituto medico-legale di Porto Velho e poi a Brasilia sembrano far risalire a cause naturali la sua morte. Secondo gli indigenisti che hanno monitorato in questi anni i suoi spostamenti, il luogo in cui è stato trovato era la 53esima «residenza». Sempre alla ricerca di un posto dove nascondersi, perché qualunque essere umano rappresentava una minaccia. Ha più volte rifiutato il contatto anche con gli operatori Funai e non ha mai accettato il cibo che veniva lasciato in prossimità dei suoi rifugi, nel timore di essere avvelenato, una pratica spesso utilizzata dagli invasori nei confronti degli indigeni isolati. Ma le conoscenze accumulate hanno consentito a questo indio solitario di difendersi, nutrirsi e curarsi con i prodotti della foresta.

SECONDO L’INDIGENISTA Antenor Vaz, l’Indio do buraco rappresenta il più alto grado di resistenza della lotta di un popolo, capace di andare avanti anche dopo il massacro della sua comunità, ma mette in evidenza anche le atroci violazioni commesse nei confronti degli indigeni. A metà degli anni ’90 furono gli indigenisti Marcelo dos Santos e Altair Algayer, che operavano in Rondonia nel «gruppo di contatto» della Funai, a ricevere le prime informazioni su un indio che viveva isolato nella regione. Confermata la sua presenza, si adoperarono per mettere in atto tutte le misure di protezione previste dalla legislazione brasiliana.

LA FUNAI delimitò un’area di 8 mila ettari in cui veniva interdetta ogni attività economica. La Costituzione del 1988 prevede la demarcazione del territorio se viene accertata la presenza di comunità isolate e il contatto da parte degli operatori può avvenire solo in caso di pericolo per la vita degli indigeni. Furono molte le pressioni dei fazendeiros e dei politici locali per impedire l’istituzione di un’area protetta, con accuse rivolte ai due indigenisti di aver «introdotto» l’indio in quella regione e di aver costruito una «leggenda» per favorire gli indigeni.

IL LAVORO di Marcelo e Altair consentì di individuare nella regione altri due gruppi di indigeni isolati, i Kanoe e gli Akuntsu, a cui venne assegnata un’area di 26 mila ettari denominata Terra indigena Rio Omere. Le pressioni arrivarono fino al Congresso nazionale e fu istituita una commissione d’inchiesta per valutare l’operato della Funai. L’iniziativa dei ruralisti e dei politici conniventi fallì, le misure di protezione furono confermate e i territori interdetti alle attività economiche. Ma i difensori degli indigeni non hanno vita facile in Brasile e Marcelo e Altair, pur con tutti i riconoscimenti per il loro impegno e i successi ottenuti, furono esonerati dalle loro funzioni e costretti ad abbandonare la regione per le ripetute minacce di morte.

SOLO DOPO ALCUNI anni Altair è ritornato in Rondonia e ha ripreso a occuparsi della protezione degli indigeni non contattati. Secondo la Funai sono 114 le comunità indigene isolate in Brasile. Le violente invasioni nel corso dei secoli hanno determinato il genocidio di intere popolazioni e l’isolamento ha rappresentato una strategia di sopravvivenza. Lo Stato deve tutelare i popoli non contattati, rispettando la loro volontà di non avere interazioni con persone che non siano dello stesso gruppo. Il principale dispositivo giuridico è la «restrizione d’uso» del territorio abitato dalle comunità.

CON LA MORTE dell’Indio do buraco, l’area protetta di 8 mila ettari in cui viveva è a grave rischio di invasione. La Terra Tanaru è una piccola isola di foresta circondata da grandi aziende che allevano bestiame. In un appello lanciato da numerosi indigenisti si chiede che lo Stato brasiliano demarchi e mantenga la Terra indigena Tanaru come memoriale di resistenza dei popoli isolati, con l’impegno di attuare politiche pubbliche in grado di proteggere i popoli non contattati. Si chiede anche che l’Indio do buraco, simbolo di questa resistenza, venga interrato nello stesso posto in cui è vissuto e morto, con un monumento che lo ricordi degnamente. Il ministero pubblico federale ha confermato che il corpo dell’indio riposerà nella terra dove ha vissuto dopo il massacro del suo popolo.