C’è tutto Lula, con il suo carisma, la sua determinazione, i suoi sogni, ma anche con i limiti della sua visione politica, nel libro-intervista La verità vincerà. Il popolo sa perché sono stato condannato, edito in Italia da Meltemi (pp. 254, euro 18). Un libro in cui l’ex presidente operaio, poche settimane prima del suo arresto, si racconta in modo vivace e brillante ai giornalisti Juca Kfouri e Maria Inês Nassif, al docente di Relazioni internazionali Gilberto Maringoni e alla fondatrice della casa editrice Boitempo Ivana Jinkings, commentando i retroscena politici degli ultimi anni ed esprimendo le sue speranze per il paese.

«La verità vincerà», afferma l’ex presidente, convinto che non morirà «marchiato come un ladro». E, per quanto sia ancora in carcere e difficilmente riuscirà a candidarsi per le presidenziali del 7 ottobre, la verità, almeno quella, ha già vinto. Per il popolo brasiliano, e per le forze democratiche del mondo intero, Lula è infatti un prigioniero politico, oggetto di «una condanna in cerca di una prova», secondo l’espressione utilizzata nella prefazione dal docente di Scienze politiche Luis Felipe Miguel.
«Stanno mentendo», afferma Lula soffermandosi su non pochi aspetti della persecuzione di cui è vittima: «La Polizia federale ha mentito nell’inchiesta, il pubblico ministero ha mentito nella denuncia, e Moro sapeva che non era vero, ma lo ha accettato e ha trasformato le menzogne in un processo che mi ha condannato».

MA SE LA VERITÀ sul suo caso giudiziario è internazionalmente diffusa, assai più controversa, almeno per le forze di sinistra, è la valutazione sul suo governo. La cui strategia – legata a un modello di potere esecutivo inteso come «una piazza d’affari che approva i suoi progetti al Congresso offrendo in cambio incarichi e vantaggi – è stata quella, evidenzia Miguel, di «cedere a tutto» per garantire «un unico punto fermo»: la lotta alla povertà estrema, da cui Lula è riuscito a tirar fuori 36 milioni di brasiliani. Una lotta il cui più grande emblema è stato il programma Bolsa Família, che, criticato a sinistra per il suo carattere meramente compensatorio, ha fatto tuttavia la differenza «tra il permanere o meno in uno stato di denutrizione». In questa strategia diretta a integrare la massa degli esclusi attraverso il consumo – perché, dice Lula, «il cittadino che non può comprare non vale un cazzo» – anziché mediante i servizi sociali, «il modello predatorio di sviluppo, con elevati costi umani e ambientali, fu accettato – spiega Miguel – in quanto scorciatoia inevitabile per il miglioramento delle condizioni materiali della popolazione». Ma con un costo assai alto: quello della smobilitazione popolare, del deterioramento delle condizioni di lotta per conquiste più avanzate. Un costo però ritenuto probabilmente accettabile da Lula, convinto che la mobilitazione non risolva tutto e che non si possa vincere con «discorsi come ’farò scendere il popolo in strada’».

SU TUTTO QUESTO l’ex presidente non fa autocritica, rivendicando al contrario ogni singola scelta, convinto di aver raggiunto «il massimo che fosse mai stato fatto in questo Paese dal punto di vista dell’inclusione sociale», il massimo che, stando ai rapporti di forza all’interno del Congresso, «era possibile ottenere». Così, a chi definisce il suo come un ’governo di conciliazione’, Lula risponde che, in realtà, «quando puoi soltanto fare di meno e finisci per fare di più, è quasi l’inizio di una rivoluzione: ed è quello che abbiamo fatto in questo Paese». Ed è «molto di più», dice, quello che farà se potrà tornare. Neppure il golpe contro Dilma, neppure il golpe nel golpe della sua condanna e del suo arresto lo inducono a riconsiderare la sua strategia. L’ex presidente vuole continuare a essere, dice, il ’lulinha paz e amor’ che è sempre stato. Sicuro, ancora, che ci saranno le condizioni per governare di nuovo «con il centro e con la destra»
Colpisce nel libro l’assenza quasi completa della problematica ecologica, benché proprio su questo terreno siano state rivolte all’ex presidente, da sinistra, alcune delle critiche più dure. Se i giornalisti non lo incalzano sull’argomento, e se la scontata esaltazione del pré-sal (l’enorme giacimento di petrolio scoperto in fondo al mare) passa senza obiezioni, è Lula ad accennare al tema ambientale con un elogio entusiasta dell’etanolo in funzione della lotta al riscaldamento globale – benché la cultura intensiva da canna zucchero provochi enormi danni all’ambiente e al clima a tutto vantaggio dell’agribusiness – e con un’orgogliosa rivendicazione del contestatissimo e devastante progetto della trasposizione del fiume São Francisco (per fermare il quale un vescovo – dom Luiz Cappio – era addirittura ricorso allo sciopero della fame).