In Germania Josef Schuster, presidente del Zentralrat der Juden, il Consiglio centrale degli ebrei, ha sconsigliato di portare la kippa nelle grandi città tedesche. In Francia 80 tombe del cimitero israelita di Quatzenheim sono state imbrattate con la svastica. In Italia durante una puntata dedicata a Primo Levi del programma radiofonico Fahrenheit, in onda su Radio tre, arrivano telefonate di ascoltatori che si dicono stufi di sentir parlare degli ebrei. E poi aggressioni verbali e fisiche, intimidazioni, offese sempre più frequenti e spudorate.

Sembrano immagini del passato e invece sono frammenti inquietanti del presente, segnali di un odio che, dalla Danimarca all’Italia, attraversa l’Europa per riemergere come prima. Anzi peggio: «A distanza di decenni dall’Olocausto, i livelli di antisemitismo stanno aumentando in modo sconcertante e continuano ad affliggere l’Unione europea», denuncia una ricerca dell’Agenzia per i diritti fondamentali (Fra) dell’Unione europea, che ricorda anche come in passato la graduale «normalizzazione dell’antisemitismo ha aperto la strada a una delle maggiori atrocità che si siano mai verificate in Europa».

Un pericolo segnalato di recente anche da El Pais: l’aumento dell’antisemitismo nel Vecchio continente, ha scritto il giornale spagnolo, «è il sintomo di una malattia, ma anche di qualcosa di più profondo e terribile: l’ignoranza del passato». Esagerazioni? Mica tanto se si pensa che un sondaggio della rete americana Cnn evidenzia come un europeo su venti non abbia mai sentito parlare dell’Olocausto.

Attenzione quindi a ignorare o, peggio ancora, a banalizzare il Male, come prova a fare certa politica. Anche perché i segnali della ripresa dell’odio verso gli ebrei sono sempre più evidenti come indicano i risultati della ricerca che Fra ha condotto lo scorso mese di dicembre in 12 Stati membri della Ue (Austria, Belgio, Danimarca, Francia, Germania, Ungheria, Italia, Olanda, Polonia, Spagna, Svezia e Regno unito) coinvolgendo oltre 16 mila ebrei con più di 16 anni: l’85% degli intervistati individua l’antisemitismo e il razzismo come i problemi più urgenti perché in aumento nel proprio Paese (90%) e soprattutto on line, con un 70% che indica gli spazi pubblici, insieme ai media e alla politica, come le situazioni dove la sensazione di pericolo si fa più forte. «Come ebrea che è cresciuta in Danimarca ho sempre evitato di mostrare o di dire alla gente che sono ebrea», ha ammesso una ragazza di 24 anni che vive a Copenhagen.

«Ormai in Germania l’antisemitismo non è più un tabù, così si manifesta sempre più spesso,- verbalmente e fisicamente, nelle strade», ha invece denunciato una sessantenne tedesca.
«L’antisemitismo sembra così profondamente radicato nella società che le molestie costanti sono diventate parte della vita quotidiana di questi cittadini», scrivono i ricercatori dell’Agenzia europea. Capita, poi, che chi non subisce direttamente atti discriminatori si ritrovi a esserne testimone. Il 24% degli intervistati ha infatti dichiarato di aver assistito mentre altri ebrei venivano insultati, molestati o addirittura aggrediti fisicamente, mentre il 20 ha affermato di aver avuto un familiare o altre persone vicine vittime di violenze verbali o fisiche.

Un altro dato importante riguarda le denunce: l’80% degli intervistati ha ammesso di non riferire incidenti anche gravi alle autorità nella convinzione che non cambierà nulla. Una rassegnazione che, infine, porta il 30% degli ebrei europei a non escludere la possibilità di lasciare il proprio paese per emigrare verso altri ritenuti più sicuri.

«Il ventesimo secolo ha avuto molte malattie, l’unica rimasta incurabile è l’antisemitismo», ha commentato i risultati della ricerca il vicepresidente della Commissione europea Frans Timmermas, mostrando forse un eccessivo ottimismo. Per contrastare un fenomeno che sembra destinato a crescere ancora, l’Agenzia per i diritti chiede che gli Stati membri di trattare con maggiore impegno il tema dell’Olocausto nelle scuole, di monitorare di più i reati di odio e di recepire le norme europee contro il razzismo. Nella speranza che non sia troppo tardi.