L’Ogaden, grande regione dell’Etiopia che confina con Gibuti, Somalia e Kenya, è abitato da popolazioni di etnia somala e religione musulmana. Più grande dell’Italia, ma con meno di 7 milioni di persone, oggi fa tecnicamente parte della Regione dei Somali, creatura burocratico-amministrativa del governo etiope. Storicamente questa fetta di Corno d’Africa compone insieme a Somalia, Gibuti, Somaliland e regioni del nord-est del Kenya le cinque punte della stella della bandiera nazionale somala che sta a significare l’idea di riunire tutte le terre somale in un solo paese: la Grande Somalia.

L’OGADEN FU ANNESSO all’Impero Etiope alla fine dell’800, ma passò sotto il controllo della Somalia durante il periodo coloniale italiano, per tornare all’Etiopia nel 1954 al termine del mandato britannico. Questa situazione precaria sfociò in quella che fu chiamata Guerra dell’Ogaden, nel 1977, tra Etiopia e Somalia. Fu uno degli episodi minori della Guerra Fredda: l’Etiopia di Hailè Mariam Menghistu fu affiancata da rinforzi cubani e consiglieri militari sovietici, mentre la Somalia di Siad Barre fu armata e addestrata dagli occidentali. Lo scontro si protrasse per circa un anno e fu vinto dall’Etiopia, che inasprì subito la sua presa militare sulla regione ribelle.

A guidare le istanze della minoranza somala è l’Ogaden National Liberation Front che per quarant’anni ha combattuto il governo centrale dell’Etiopia. Questo movimento politico, fondato nel 1984, ha rivendicato una serie di attacchi contro forze etiopi e stabilimenti petroliferi della regione. Il governo dell’Etiopia non hai rinunciato al possesso di questa grande e riottosa zona, prima per motivi politici, ma ormai da anni per chiare motivazioni economiche. L’Ogaden infatti è ricco di gas naturale e di petrolio. E sono i cinesi ad essersi assicurati le sue lucrose concessioni: la compagnia cinese China Poly Group estrae gas naturale già dal 2013 e dal 2018 ha iniziato anche con il petrolio.

Secondo le dichiarazioni dei politici etiopi a AfricaNews l’introito annuale, quando gli impianti saranno a pieno regime, potrebbe aggirarsi intorno ai 7 miliardi di dollari.

UN PO’ A SORPRESA nell’ottobre del 2018, è stato firmato il cessate il fuoco con il governo federale di Addis Abeba e i guerriglieri sono stati integrati nella forze armate etiopi. Un accordo storico che ha contribuito, insieme alla pace con l’Eritrea, all’assegnazione del Premio Nobel per la Pace al primo ministro dell’Etiopia Abiy Ahmed nel 2019 e che ha permesso all’elite politica del movimento di rientrare in patria dopo anni di esilio.

OGGI PERÒ quello storico accordo sempre scricchiolare e in Ogaden fibrillano nuove idee di maggiore autonomia da Addis Abeba. Abdelrahman Madhi è il presidente dell’Ogaden National Liberation Front (Onlf) ed è un politico che ha speso la vita per le istanze del suo popolo. Nel 2014 dal suo esilio a Londra aveva raccontato sofferenze collettive che nessuno voleva sentire. La popolazione era alla fame e accusava l’esercito etiope di uccidere e stuprare donne e bambini, dichiarando che l’unica via per la sopravvivenza era la lotta armata. Madhi era stato durissimo definendo il governo etiope peggiore dei colonialisti europei, capace solo di rispondere con la violenza alle richieste della minoranza somala. Ma aveva già ammainato la bandiera dell’indipendenza, perseguendo invece la strada della forte autonomia.

DAL 2018, DOPO GLI ACCORDI di pace, Abdelrahman Madhi è potuto tornare nel suo Ogaden, ma dopo soli tre anni torna a far udire la sua voce. «Abbiamo preso la grave decisione di ritirarci dal secondo turno delle elezioni nazionali che si sono tenute il 30 settembre perché il governo non ha accolto nessuna delle nostre richieste. I nostri elettori non sono riusciti a iscriversi alle liste elettorali, il Partito della Prosperità del premier Abiy Ahmed ha monopolizzato la scena politica. Erano elezioni già decise».

Insieme all’Onfl si sono ritirate altre sigle che rappresentano la minoranza somala, a riprova del diffuso malcontento. Il presidente Madhi ha però ribadito con forza che la sua organizzazione non tornerà alla lotta armata. «Abbiamo avuto diversi incontri pubblici – dice – per analizzare la difficile situazione, ma voglio ribadire la scelta della non-violenza e del processo politico di pacificazione, malgrado le tante provocazioni».

«IL NOSTRO APPELLO ALLA PACE – prosegue Madhi – deve però riguardare tutta l’Etiopia. Siamo molto preoccupati per la delicata gestione di confine fra le regioni Somali e Afar che da mesi si stanno scontrando, con il governo federale che sembra sfavorire i somali. Voglio tendere una mano al governo, che deve indire una conferenza nazionale di tutti i somali per sviluppare una posizione comune che faciliterà un vero processo democratico e rappresentativo».

Un soggetto politico nazionale somalo, in sostanza, che dovrebbe interloquire con il governo etiope. E che difficilmente prenderà mai forma.