Più di mille detenuti sono fuggiti ieri dalla prigione centrale di Kangbayi a Béni, nella Repubblica democratica del Congo (Rdc), in seguito a un attacco rivendicato dall’Isis.

Le circostanze di questa spettacolare azione non sono ancora chiare. L’attacco è avvenuto martedì 20 ottobre intorno alle 4 del mattino. «La postazione militare presente nei pressi del carcere è stata attaccata – ha dichiarato il sindaco di Béni, Modeste Bakwanamaha, all’agenzia Afp – gli aggressori erano in gran numero e solo un centinaio degli oltre 1400 detenuti non ha approfittato dell’attacco per fuggire»

Nel pomeriggio di ieri lo Stato Islamico ha rivendicato l’attacco, in una dichiarazione ufficiale rilasciata dalla sua “agenzia stampa” Amaq, secondo quanto riporta il sito di Site Intelligence.

Nell’aprile del 2019 Daesh aveva rivendicato, sempre attraverso Amaq, il suo primo attacco nella Repubblica Democratica del Congo colpendo la caserma militare di Bovota, nella provincia del Nord Kivu al confine con l’Uganda, che aveva causato la morte di 5 militari.

Da allora il gruppo jihadista ha rivendicato la responsabilità di altre operazioni sul suolo congolese, anche se secondo numerosi analisti non è ancora certa «la sua reale presenza nel paese». In un rapporto del novembre 2018, il Congo Study Group ha indicato connessioni tra Isis e uno dei principali gruppi di ribelli presenti nell’area: le Forze democratiche alleate (Adf), un gruppo armato vicino all’Islam salafita, nato a metà degli anni ’90 nel vicino Uganda per cercare di rovesciare il regime di Kampala

Attraverso l’analisi dei video di propaganda e dei numerosi attacchi – con la morte di oltre duemila civili dal 2017 – gli esperti hanno stabilito che «il gruppo ha aderito allo Stato Islamico insieme ad altri gruppi jihadisti, raggruppati nella Madina Tauheed Wau Mujahedeen (Mtm), con una bandiera simile a quella usata da Al-Shabaab e Boko Haram».

Interrogato su questo argomento da France 24, il presidente congolese Félix Tshisekedi ha dichiarato che «l’Adf ha aderito alla logica terroristica sostenuta dallo Stato Islamico e che la maggior parte dei prigionieri liberati dalla prigione di Béni erano combattenti di quella formazione».

«La minaccia e i rischi di collegamenti tra gruppi armati ribelli nell’est del paese e gruppi jihadisti – ha continuato Tshisekedi – è ormai una realtà perché il nostro paese è diventato terreno fertile per lo Stato islamico, a causa della povertà diffusa e delle numerose rivolte nelle regioni di Béni e Butembo in particolare».

Per la Repubblica democratica del Congo, la posta in gioco è alta. La presenza di Daesh sul suo suolo rappresenterebbe un’ulteriore problema oltre alle numerose fazioni ribelli, almeno un centinaio, presenti sul territorio, fattore che potrebbe giustificare un maggiore sostegno operativo da parte degli oltre 15mila caschi blu della missione di pace Monusco.