Il portavoce della polizia ugandese, Fred Enanga, ha confermato che dietro il duplice attentato di ieri nella capitale ugandese, Kampala, c’è «sempre la presenza del gruppo jihadista delle Forze democratiche alleate (Adf)».

Riguardo alla ricostruzione della polizia, un uomo con uno zaino si sarebbe fatto esplodere vicino alla principale stazione di polizia della capitale. Qualche minuto dopo, una seconda bomba, trasportata da due uomini che si spacciavano per moto-taxi, è esplosa di fronte al Ministero dell’Informazione e un terzo ordigno è stato ritrovato nell’abitazione di un altro terrorista arrestato nella mattinata di ieri dalle forze di sicurezza nel quartiere di Bwaise, a nord della città.

Le autorità parlano di «almeno 6 morti, compresi i 3 attentatori, con 33 persone ferite di cui 5 in maniera grave», ha aggiunto Enanga, aggiungendo che «gli attacchi di ieri indicano una pianificazione minuziosa degli attentati avvenuti in posti vicini e a distanza di poco tempo con l’obiettivo di colpire anche i soccorritori, prassi utilizzata spesso dai terroristi dello Stato Islamico e dai suoi affiliati dell’Adf».

L’ADF È UN GRUPPO RIBELLE musulmano ugandese che successivamente ha messo radici nella vicina Repubblica Democratica del Congo (Rdc) dove è accusato di aver ucciso migliaia di civili nella regione del nord-Kivu.

Il gruppo è recentemente passato al jihadismo radicale e lo scorso marzo gli Usa lo hanno inserito nella lista delle organizzazioni affiliate all’Isis come Stato Islamico dell’Africa Centrale (Iscap).

Attraverso il suo canale Telegram l’Iscap ha rivendicato gli attentati a Kampala dello scorso mese contro un ristorante e un autobus, con altre 5 vittime civili, che avevano l’obiettivo di «punire e colpire il governo crociato ugandese». Le forze di sicurezza nazionali hanno confermato che esiste «un forte legame tra gli attacchi di queste ultime settimane, visto che sarebbero stati tutti «coordinati direttamente dal leader di Adf, Muhammed Nkalubo».

L’attacco più letale nella storia del paese risale allo scorso 11 luglio 2010 quando 76 persone, riunite in un ristorante per vedere la finale dei mondiali di calcio persero la vita a causa di un doppio attentato kamikaze rivendicato dal gruppo degli al-Shabaab, come risposta al dispiegamento di truppe ugandesi nella missione Amisom in Somalia.

La minaccia jihadista rischia di travolgere lo stato ugandese, immune, nonostante quell’episodio, da attentati terroristici e afflitto dalla dura repressione sotto la dittatura dell’eterno Yoweri Museveni, al potere da 35 anni.

«QUESTI EVENTI confermano le nostre informazioni riguardo ad una forte disponibilità finanziaria del gruppo per un’azione di reclutamento e radicalizzazione di numerose cellule operative nel paese – ha concluso il portavoce della polizia ugandese – hanno iniziato con obiettivi facili, ma pensiamo che possano avere piani molto più sanguinosi contro obiettivi dello stato».