Qualche anno fa si fece una riunione tra gli abitanti della frazione per parlare del problema inquinamento. Fu molto partecipata, una settantina di persone. A un certo punto qualcuno chiese: ‘alzi la mano chi ha amici o parenti malati di tumore o che son morti’. Alzammo la mano tutti. E calò il silenzio». Le parole di Stefano Demi, ormai ex abitante di Stagno dove è cresciuto, danno un’idea della situazione che vivono gli abitanti di uno dei 42 Sin, ovvero un Sito di interesse nazionale, che riguarda una porzione del territorio di Livorno e della limitrofa Collesalvetti. Nello specifico un Sin è un’area contaminata classificata come pericolosa per la salute dallo Stato e che necessita di bonifiche di suolo, sottosuolo, acque superficiali e sotterranee per evitare danni ambientali e sanitari.

LA PROCEDURA DI BONIFICA È ATTRIBUITA alla competenza del ministero dell’ambiente mentre sia la messa in sicurezza che le spese, in base al principio comunitario del “chi inquina paga” sono in carico al responsabile dell’inquinamento che è tenuto ad eseguire la bonifica anche se ha ceduto ad altri l’azienda. L’eventuale passaggio dell’obbligo di bonifica a carico del successore si ha solo in caso che questo sia a titolo universale.

AL MOMENTO DELLA SUA «nascita», l’area Sin labronica era di circa 22 chilometri quadrati, divisi in 14,885 marini e 7 continentali. Poi il perimetro è stato rivisto, diventando in parte Sir, Sito di interesse regionale: l’equivalente in forma ridotta del Sin con la differenza che le spese di bonifica in questo caso sono a carico della Regione Toscana.

STAGNO AD ESEMPIO è una frazione di Collesalvetti, attaccata a Livorno, e a circa 4 chilometri a piedi dal porto. È parte del Sin e ci abitano circa 5mila persone. «Senza pensarci tanto potrei fare il nome di una decina di persone che conosco che hanno la leucemia – afferma Marco Vaglini, che abita a Stagno da una vita e fa il camionista – Negli ultimi anni son sempre di più. C’è il problema degli odori, che arrivano anche nei quartieri di Corea e Shangai a Livorno, e d’estate dormiamo con la finestra chiusa. Abbiamo fatto anche più esposti perché in dei periodi non si respira ma niente».

GLI ODORI IN QUESTIONE, proverrebbero dalla raffineria Eni – presente dagli anni ’30 – una delle ‘responsabili’ del Sin visto che sul sito del ministero dell’ambiente si può leggere che le indagini «hanno evidenziato una situazione di rilevante inquinamento nei terreni, nelle acque di falda e nei sedimenti delle aree marino-costiere, correlabile principalmente alle attività condotte all’interno della Raffineria Eni e della centrale termoelettrica Marzocco Enel».

“C’È CAPITATO PIÙ VOLTE ANCHE DI TROVARE uccelli morti al mattino e non si sa perché – ricorda Stefano Biagi, cresciuto a Stagno con ‘vista raffineria’ e ora trasferitosi in Versilia – C’è chi dice che abbiano bevuto nei fossi in zona ma sono supposizioni. Di sicuro abbiamo fatto dei carotaggi per vedere sostanze ed inquinanti nelle falde degli orti e son venuti fuori dei valori assurdi. Tipo 150 volte superiori alla media. Quando abitavo lì, dopo le analisi se cresceva qualcosa nell’orto non lo mangiavo più. È una situazione tremenda, le bonifiche non sono mai state fatte e manca uno studio di settore specifico».

LE BONIFICHE LE AVEVA INVOCATE persino papa Francesco il 5 maggio scorso in diretta mondiale da Palazzo Apostolico: «Saluto i cittadini di Livorno e Collesalvetti – aveva detto il pontefice – che da tempo attendono la bonifica dei territori più inquinati. Preghiamo per loro». Ma niente. Di studi presenti c’è il Sentieri – acronimo di Studio Epidemiologico Nazionale dei Territori e degli Insediamenti Esposti a Rischio da Inquinamento, un approfondimento su mortalità e ricoveri ospedalieri relativo a patologie che, tra le altre cause, riconoscono anche l’esposizione a specifici inquinanti nell’aria e nelle acque – il cui ultimo rapporto è uscito l’anno scorso per gli anni 2013-2017. Tocca tutta la città di Livorno e quella di Collesalvetti, circa 173mila abitanti totali per poco più di 200 chilometri quadri in tutto, comprese zone con boschi e spiagge. «Nel territorio sono di interesse per la contaminazione ambientale la presenza di un’area portuale e di una raffineria – dichiara Amerigo Zona del dipartimento ambiente e salute dell’Istituto Superiore di Sanità – Dal confronto con il precedente rapporto riferito agli anni 2006-2013 emergono la conferma in entrambi i generi degli eccessi per la mortalità generale, per tutti i tumori maligni, per le malattie del sistema circolatorio e dell’apparato digerente. La presenza di eccessi può essere indicativa di un nesso con esposizioni ambientali, anche se non sarà mai abbastanza sottolineato che si è in presenza di patologie che riconoscono molti fattori causali».

NEL RAPPORTO SI PUÒ LEGGERE tra l’altro che si registrano aumenti di anomalie congenite – pari a 268,6 per 10mila nati – in particolare per cuore, apparato urinario e genitale, una mortalità in eccesso per tutte le cause del 6 per cento in più per gli uomini e 7 per le donne pari a 131 decessi in più ogni anno, un totale di 8016 morti nel periodo analizzato tra tumori, malattie di sistema circolatorio, respiratorio, digerente e urinario che hanno portato per lo stesso motivo a 36084 ricoveri nel medesimo arco di tempo, eccessi di ricoveri ospedalieri per leucemie anche tra gli 0 e 19 anni e per mesoteliomi della pleura. «Per i casi di mesotelioma – puntualizza Ezio Bonanni dell’Osservatorio Nazionale Amianto – o i numerosi casi di cancri al polmone contratti dai lavoratori del porto, il caso di Livorno è un po’ sottostimato, nascosto. Qua si caricava e scaricava amianto, materiale di cui erano foderate le navi. Abbiamo fatto denuncia alla procura della Repubblica, archiviata perché i responsabili erano già molto anziani o deceduti. È il dato epidemiologico più alto in Toscana».

DALLA RAFFINERIA, CHE OLTRE A PRODURRE olio combustibile per navi ha emesso nel corso degli anni tra le altre anidride carbonica, zolfo, benzene, zinco e cromo, al porto – con nel mezzo la centrale termoelettrica, nata su una attiva dal 1907, entrata in funzione nel 1963, chiusa nel 2015 e che emetteva tra gli altri ossidi di azoto, zolfo e particolato – il passo è breve nel vero senso della parola: circa 4 chilometri a piedi. «Quando c’è libeccio e le navi sono ormeggiate a motore acceso, in città arriva una nube nera» ci dice Mario, che abita vicino al porto vecchio. «D’estate anche se fa un caldo pazzesco devi tener tutto chiuso per l’odore delle navi – osserva Luca Ribechini di Livorno Porto Pulito, una delle tante associazioni e comitati che battagliano per la salute dei cittadini – e le persone hanno difficoltà a respirare per strada. Nel 2018 il porto, a detta dell’autorità portuale, produceva 5 volte il biossido di azoto di tutte le più di 100mila macchine circolanti a Livorno. Un dato dettato sia dal fatto che le navi devono tenere acceso il motore e banchina per gli impianti sia dal gran numero di arrivi tra navi da crociera, circa 400, e mercantili. E col progetto Darsena Europa i traffici sono destinati ad aumentare».

NONOSTANTE LE PROTESTE DI MOLTI cittadini, i valori attuali dell’aria sembrerebbero nei parametri. «I valori attuali rilevati da Arpat sono a norma e mediamente non ci sono sforamenti – sottolinea Manrico Golfarini di Legambiente Livorno – c’è stata una diminuzione rispetto ad anni fa visto che è chiusa la centrale e la raffineria è in fase di ristrutturazione per diventare una bioraffineria. Sugli effetti epidemiologici c’è da vedere le cause visto che ce ne possono essere tante. Ci vogliono studi molto limitati su persone molto conosciute. Dire, come sento in giro, che sono aumentati i livelli di benzene e pm10 e questo significa un aumento di morti, è una correlazione assai pericolosa da fare».

UNO STUDIO EPIDEMIOLOGICO ‘RISTRETTO’ che possa dirimere la questione, manca. A Cremona, per cercare di dare delle risposte, lo hanno fatto. «Abbiamo fatto uno studio che in psicologia si chiama casa controllo – spiegano Marco Villa, direttore del servizio epidemiologico e la dottoressa Paola Ballottari dell’Ats Val Padana – cioè abbiamo associato ad ogni caso di leucemia quattro persone sane, siamo andati a vedere dove abitavano, abbiamo geo referenziato questi indirizzi, li abbiamo associati al valore medio di pm10 annuo e siamo andati a vedere se c’erano differenze. I dati emersi suggeriscono un aumento delle leucemie acute all’aumentare della concentrazione di pm10 in particolare per le leucemie mieloidi e tra le donne. Sono numeri coerenti con uno studio più grande, danese, che ha trovato una evidenza di questa relazione tra aumento di rischio di leucemia acuta mieloide e aumento di pm10».

UNO STUDIO ANALOGO ANCHE A LIVORNO, sembrerebbe sempre più necessario. «Il profilo di mortalità risulta peggiore di quello regionale nell’insieme dell’area del Sin – sottolinea Fabrizio Bianchi, epidemiologo – ma in assenza di studi su scala geografica più piccola non è possibile stabilire quanto le criticità di salute siano più o meno marcate nelle sub-aree maggiormente interessate dalle emissioni del polo industriale.

LO STUDIO EPIDEMIOLOGICO su base di residenza individuale, programmato da 4 anni ma mai effettuato a causa di barriere poste per la tutela della privacy è sempre più urgente».