«Le nuove sanzioni Usa sono le più dure tra tutte quelle decise fino a oggi», affermava ieri il giornale della confindustria russa Kommersant. «Un colpo proibito sotto la cintola», aggiungeva Vedomosti. Le sanzioni anti-russe hanno ormai accerchiato il Cremlino: 400 aziende e 179 individui in gran parte uomini d’affari o amministratori delegati di grandi aziende russe non possono più avere alcuna relazione con gli Stati uniti.

Tra le figure di spicco, restano fuori dalle liste di proscrizione di Trump solo il premier Dmitry Medvedev, i massimi vertici della politica estera Sergey Lavrov e Marya Zacharova e il capo dei siloviki (i duri statalcapitalisti) Igor Sechin, presidente di Rosneft, un gruppo che fattura oltre 56 miliardi di dollari annui.

La lista compilata dalla Casa bianca venerdì è composta in gran parte da personaggi da tempo nelle classifiche degli uomini più ricchi del globo. Oleg Deripaska, Viktor Vekselberg, Suleyman Kerimov, Andrey Skoch e Vladimir Bogdanov, secondo Forbes assommano patrimoni che superano largamente i 30 miliardi di dollari.

Dal punto di vista imprenditoriale è il «cerchio magico» putiniano, l’oligarchia che ha sostituito i Berezovsky e i Khodarkovsky degli anni ’90. Non a caso la reazione del ministero degli Esteri russo è stata immediata: la ritorsione «sarà molto dura» si promette.

Non che la Russia abbia molte carte da giocare sul piano economico senza ridurre ulteriormente il suo interscambio con gli Usa, sceso sotto i 40 miliardi di dollari annui. Tuttavia nel settore alimentare e della cosmonautica qualche grattacapo Mosca lo può ancora dare.

Il personaggio più importante della «lista nera», il colpo più duro inflitto a Putin, è quello di Alexey Miller. Classe 1962, economista, proviene dalla filiera leningradese che Putin portò a Mosca dopo essere diventato presidente.

Un’eminenza grigia mai coinvolta in nessuno dei gossip e delle maldicenze che circolano intorno a Zar Vladimir, al punto di non essere neppure incluso nella famosa Cooperativa Osero fondata da Putin negli anni ’90 e che per i dietrologi controlla l’intera vita economica e politica del paese. Nel 2001 il presidente russo lo ha installato a Gazprom e lì è rimasto. Quando l’aveva presa in mano l’holding era al 236esimo posto nella classifica della più grandi imprese del mondo di Fortune; lui l’ha portata al 15esimo nel 2012.

In seguito Gazprom ha dovuto scontare il calo del prezzo del petrolio e la recessione in Russia (il fatturato nel 2017 è calato del 8,1%) e ora si trova al 63esimo posto mondiale. Malgrado ciò si tratta ancora di un gigante da 90 miliardi di fatturato annuo e 450mila dipendenti.

I suoi interessi non si fermano a gas e petrolio: Miller ha portato Gazprom nei settori bancario, assicurativo, immobiliare e televisivo. È uno dei 10 uomini che Putin consulta sempre per scelte strategiche: ai tempi dell’entrata in guerra in Siria, all’epoca del blitz in Crimea.