Il giorno dell’arrivo, quando scendo dal traghetto e attraverso cauto la piccola striscia di asfalto di Skala, dopo il primo colpo d’occhio è come se questa piccola isola del Dodecaneso prendesse sensi e cuore per portarti dentro una specie di incantamento. Ogni isola greca che ho visitato negli anni ha un’anima diversa, qualcosa che all’inizio non riesci a percepire vivendo un precario spaesamento dello sguardo. Solo due giorni dopo, percorrendo con mia moglie le sue stradine solitarie in scooter, capirò di essere stato rapito da un senso di beata pigrizia.

Dimentico i giorni, le ore, la mia vita che c’era prima, semplicemente non sento più l’assillo del tempo, il desiderio di telefonare, e questo territorio brullo di roccia e mare azzurro mi incatena, non riesco a immaginare altro che questo paesaggio carnale, come se il resto del mondo non esistesse più. Un senso di calma autosufficienza, serenità interiore, che mi impediscono persino di leggere. Pare che a volte invece faccia un effetto molto diverso, susciti in alcuni un sentimento negativo di irritata ritrosia, a certi salga la voglia di salire sul primo traghetto e scappare lontano, forse a causa del Meltemi che in certi giorni soffia superbo ininterrottamente scuotendo i nervi, ma che riesce anche a placare il sole rovente e carezzare, rinfrescare la pelle, dare tregua dalla calura.

PER VIVERE AL MEGLIO PATMOS basta arrivare a fine giugno, quando la stagione non è ancora al culmine, e stare ai margini, scansare la sua vita mondana che si svolge dalla tarda serata fino a notte fonda nel dedalo di piccole vie del centro, di fronte al porto, dove gli eleganti uomini e signore americani, i molti italiani o inglesi pallidi con le fisiognomiche da gallinacei che camminano sciolti e un po’ svampiti, magari scesi da poco da uno yacht di lusso. Si spostano lungo la pavimentazione marmorea in cerca di un bar per bere un aperitivo alcolico, una bibita fresca, ritemprarsi e dissetarsi dopo una giornata estenuante di tuffi e relax sulle sdraio dell’imbarcazione.

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Corre voce anche di una sua storica mondanità, la presenza occulta di alcune stelle di Hollywood che vivono qui in incognito in resort nascosti, e anni addietro la presenza del rocker David Bowie; anche lo scrittore Emmanuel Carrère ha preso casa qui a Chora, citando questo posto ne “Il regno” (Adelphi), “però in genere viene qui ad agosto” mi ha detto l’artista Katerina Mourati nel suo atelier, restando sul vago, circondata da quadri colorati e oggetti artistici, ma pare che dopo il divorzio non si sia più visto.

Però se non ti lasci coinvolgere, fagocitare da questo piccolo fazzoletto di negozi lussuosi e piccoli bar, ristoranti comunque economici nonostante la posizione, dove sbarcano periodicamente anche i passeggeri delle grandi navi da crociera assaltando i negozi per fare lo shopping, se ti tieni alla larga da questo popolo agiato, sei salvo. Perché fuori da questo piccolo girone turistico, peraltro sempre discreto e diverso da quello di massa, c’è solo il silenzio e la nuda bellezza delle spiagge, l’ombra delle tamerici e l’acqua cristallina che risveglia i sensi. E c’è un’altra cosa che non manca mai a Patmos, il silenzio, merce rara nel mondo globalizzato, soprattutto nell’Occidente tecnologico e consumistico; almeno in questo periodo, sentirsi soli e appartati anche quando la spiaggia è frequentata, è la norma.

I VINI DI PATMOS SONO SPECIALI, seguono il ciclo naturale dell’agroecologia biodinamica per conservare paesaggio e biodiversità, utilizzando una meccanizzazione leggera, come quelli di Paitonos Terre dell’Apocalisse, due ettari che si trovano a ridosso della baia di Petra nella parte sud dell’isola; lì un enologo italiano, Federico Garzelli, e la sua compagna greca Eirini, oltre a produrre olio e vino hanno anche dato vita a una banca di tutti i semi presenti nell’isola. Infatti, insieme al Domaine de l’Apocalypse dello Slow Food e altre associazioni che si battono per la conservazione delle varietà greche, hanno fondato un gruppo di guardiani dei semi di Patmos. Questa condotta è nata da un progetto di rilancio della viticultura greca iniziato vent’anni fa nell’intento di preservare il patrimonio vinicolo nazionale e recuperare alcuni vitigni autoctoni come l’Assyrtiko, un vino dal colore giallo oro dal sapore di salvia ed eucalipto.

L’ISOLA È PICCOLA, MA CON UN COMODO scooter puoi rapidamente salire e scendere lungo l’asfalto che porta ad Agriolivadi, Vagia, puntando verso la parte nord, fino a Panagia Geranou, dove sopra le spiagge di sassi c’è una delle 350 chiese cristiano ortodosse disseminate sull’isola, luoghi sacri che appaiono nel loro intonaco bianco lucente decorato d’azzurro, o alla mia preferita Livadi Geranou. Se ci arrivi la mattina presto immergendoti nelle sue acque limpide ti senti un Robinson Crusoe, per un attimo vivi davvero la dimensione immaginaria e solitaria del naufrago.

Sopra c’è una piccola taverna, una terrazza con una vertiginosa vista sul mare blu cobalto, pavimento e soffitto celesti, colori che danno un assoluto senso di benessere, gestita da un pescatore dai capelli folti, neri, molto abbronzato, e sua moglie che disinvolta serve ai tavoli. La taverna incarna lo stile semplice di questa terra antica, pochi fronzoli, massima sobrietà, piatti austeri, per niente sofisticati, le mie amate sardine arrosto, i polipi e i calamari grigliati, la fredda retsina o il bianco sfuso della casa, profumato e leggero, vino che ti dà un senso di piacevole euforia.

SOTTO C’È LA NATURA BELLISSIMA e profana di Skala e di Grikos, al centro e a sud dell’isola, la spiaggia di Petra, la parte più rumorosa e vitalistica, in alto, invece, svetta superba la bianca Chora e il suo monastero grigio con le guglie, che sembra un fortino, la punta più alta di Patmos, quella che viene chiamata la Gerusalemme del Mediterraneo, di sobria e austera bellezza.ù

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La sacralità del luogo in cui si trova anche la grotta, lì dove San Giovanni il Teologo avrebbe scritto l’Apocalisse, fa sì che un senso di rispettoso silenzio prenda il sopravvento anche nelle ore di punta, e già a metà della strada che da Skala porta lassù, quando si rompe l’aria e diventa più fresca, è come se superassi una frontiera immaginaria che divide nettamente il piccolo paradiso di vicoli d’un bianco intenso, accecante, dal mondo laico e orizzontale dei vivi.

La silenziosa Chora, elegante e spirituale, si fa attraversare in salita nei suoi antri ventosi, soprattutto al tramonto, dove scopri gli affacci vertiginosi sul porto dabbasso, arrivando fino al Monastero, all’interno del quale si può visitare un piccolo museo con icone, oggetti e paramenti sacri, e poi sulla piazza. Lì chiunque arriva diventa stranamente più discreto, bisbiglia invece che parlare a voce alta, si muove circospetto, guidato da una estrema cautela, come è successo anche a me che non sono abitato da afflati mistici, ma riconosco la spiritualità naturale dei luoghi, una sorta di genius loci ascetico di paesaggio e architettura creato e modellato nei secoli dalla mano dell’uomo.

LA SPIAGGIA DI PSILI AMMOS, invece, va conquistata. Si arriva con lo scooter attraversando le strade ventose fino ai piedi dell’isola, nel suo ultimo lembo quasi completamente disabitato, scendendo da Chora e arrivando vicino a una spiaggetta con taverna con poche barche ormeggiate di pescatori. Lì inizia un percorso molto ripido in salita, poi ci si inerpica tra le rocce in un sentiero stretto, tortuoso, sopra le scogliere che lambiscono il mare azzurro.

Continuando a camminare arrancando sopra le creste per venti minuti, sotto il sole cocente en plein air, ancora conquistando alla fine una mezza salita, si arriva a una muraglia di basse pareti, una specie di frontiera dello sguardo, superata la quale all’improvviso si apre un teatro naturale di rocce che diradano, e un viottolo ripido che scende. Sotto ti aspetta la vista della spiaggia e le onde spumeggianti del mare di un teatro naturale incantevole che sembrano cullarti come dentro una conchiglia, e non ti resta che approdare sotto una tamerice, sfilare la maglietta, togliere le scarpe da trekking, e poi tuffarti in un mare che ti accoglie nell’estasi delle sue acque fresche e trasparenti.