Il corpo di Fuad Shukr è stato ritrovato ieri sera nelle macerie del palazzo colpito lunedì sera a Haret Hreik, periferia a sud di Beirut. Nel bombardamento sono morte cinque persone, tra cui due bambini di cui ieri si sono tenuti i funerali. Un centinaio i feriti.
Fuad Shukr, comandante della milizia di Hezbollah, è stato portato in ospedale per l’identificazione. «Piangiamo il nostro caro e amato fratello Fuad Shukr, un martire sulla via di Gerusalemme», si legge nel comunicato ufficiale di Hezbollah. Il premier israeliano Netanyahu ieri sera ha dichiarato: «Abbiamo eliminato il braccio destro di Nasrallah, direttamente responsabile del massacro dei bambini», riferendosi al razzo caduto a Majdal Shams nel Golan occupato su un campetto di calcio e di cui Hezbollah, dal primo momento, si è detto estraneo.

Si tratta del secondo colpo messo a segno a Beirut da Israele, dopo l’uccisione di Saleh al Aruri, numero 2 di Hamas, colpito il 2 gennaio a Mshrafieh. Sempre ieri, nel pomeriggio, una manifestazione è stata organizzata da Hamas e Jamaa al-islamiyya a Sidone – dove c’è una forte presenza palestinese – per denunciare l’uccisione a Teheran del capo politico di Hamas, Ismail Haniyeh.
Con Mohanad Hage Ali, vice-direttore del Malcolm H. Kerr Carnegie Middle East Center di Beirut, abbiamo discusso dei possibili scenari futuri.

Quali risposte bisognerà aspettarsi adesso da Hezbollah e dall’Iran?
I due attentati, quello di Beirut e di Teheran, richiedono due risposte separate. Hezbollah e l’Iran non possono replicare in maniera fittizia e di facciata, come è successo per l’assassinio di Aruri. Sarebbe molto imbarazzante per loro e strategicamente un contraccolpo. Per quello che riguarda Hezbollah, darebbe a Israele il via libera per un terzo, quarto, quinto attacco a Beirut ogni volta che se ne presentasse l’occasione. Proveranno a calibrare, ma non sono sicuro di come poi Israele si regolerà. Dal punto di vista di Teheran, se ben misurata, la risposta non dovrebbe portare a una controffensiva israeliana. Se non ci saranno eventuali vittime, o un numero limitato, Netanyahu potrebbe utilizzare la cosa come strumento politico per accettare un accordo e quindi un cessate il fuoco con Hamas. Avrebbe in tal caso in tasca l’uccisione del top commander di Hezbollah e del capo politico di Hamas: una grande esibizione muscolare di forza.

Insomma, si potrebbe evitare il conflitto su larga scala che preoccupa tutti.
Un altro scenario potrebbe essere quello di un numero elevato di vittime dal lato israeliano e in tal caso si entrerebbe in un conflitto più ampio con Hezbollah e l’Iran e non è prevedibile ciò a cosa possa portare.

Questi attentati cadono nel mezzo della campagna elettorale americana.
Siamo nel mezzo della campagna elettorale negli Stati uniti ed è molto rischioso entrare in un conflitto totale in questo momento, soprattutto per la candidata Harris. Sarebbe in una posizione molto difficile. Potrebbe poi aumentare il prezzo del petrolio, ad esempio. Certamente tutto ciò interroga sulla tempistica di questi due attacchi che sicuramente Netanyahu ha tenuto in considerazione.

C’è un fortissimo significato simbolico nelle due uccisioni. Lei quale spiegazione dà?
Ovviamente l’attacco è fortemente simbolico e danneggia l’immagine dell’Iran. Haniyeh era ospite dell’Iran per la cerimonia ufficiale di insediamento del neo-presidente Pezeshkian. D’altro canto, però, il regime iraniano parla di un’operazione speciale a cui rispondere, probabilmente con un’altra operazione speciale evitando così un confronto diretto. L’Iran è quella che io definisco una nazione dalla resistenza-agopuntura, che sceglie un attrito con un corso lungo e duraturo, fino allo sfinimento, a un confronto breve e diretto.