Stavolta l’operato di Israele non può essere appoggiato apertamente dagli alleati, un omicidio in Iran è cosa diversa dalla guerra a Gaza e da un missile a Beirut. Se il principio della «legittima difesa» di Tel Aviv dalle minacce esterne, evocato ancora martedì da molti politici, tra cui la candidata democratica Usa Harris, continua a essere sostenuto nonostante quasi 40mila morti a Gaza e il rischio di escalation militare con Hezbollah, sulla giurisdizione i distinguo sono obbligati.

L’Unione europea ha una posizione di principio di rifiuto delle esecuzioni extragiudiziali e di sostegno allo Stato di diritto, anche nella giustizia penale internazionale», ha dichiarato il portavoce del servizio di Azione esterna dell’Ue, Peter Stano. Significa che in linea teorica i 27 sono contrari all’omicidio di Ismail Haniyeh, eseguito per mezzo di un drone o di un missile teleguidato la scorsa notte a Teheran. Del resto, dopo l’introduzione, Stano si è affrettato ad aggiungere: «ricordiamo che l’Ue e altri partner hanno inserito Hamas nell’elenco delle organizzazioni terroristiche e che il procuratore della Corte penale internazionale ha chiesto un mandato di arresto contro Ismail Haniyeh con varie accuse di crimini di guerra».

DUNQUE? Sarebbe stato meglio catturarlo e processarlo. Stano dimentica che nello stesso procedimento penale della Cpi figurano anche i nomi di Benyamin Netanyahu, premier di Israele, e di Yoav Gallant, suo ministro della difesa. Infine Stano chiede «a tutte le parti di esercitare la massima moderazione e di evitare qualsiasi ulteriore escalation». Ma a chi si sta rivolgendo il portavoce degli esteri dell’Ue dato che l’azione eclatante (tanto eclatante da far titolare al New York Times «i funzionari iraniani sotto choc dopo l’omicidio di Haniyeh») ormai è stata portata a termine?

Tutti ora si aspettano una risposta iraniana, alla quale si sommerà, vedremo in che termini, quella di Hezbollah dopo la conferma dell’uccisione di Fouad Shukr. Ciò che è chiaro è che Israele si sente sicura di poter fronteggiare un’eventuale reazione o, forse, sa che questa non verrà, dato il potere di deterrenza esercitato dagli Stati uniti, loro alleati. I quali non si sono espressi sull’attacco a Teheran ma, tramite il segretario di stato Antony Blinken, hanno dichiarato di «non essere stati informati» né «coinvolti» nell’uccisione. E hanno provato a deviare il discorso sulla tregua a Gaza. Blinken ha detto che ora il cessate il fuoco è «imperativo», come se l’eliminazione del capo politico di Hamas sia l’atto finale della guerra iniziata il 7 ottobre 2023.

Al contrario, stiamo assistendo a una «pericolosa escalation» secondo il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres. Gli attacchi in Libano e in Iran arrivano in «un momento in cui tutti gli sforzi dovrebbero invece portare a un cessate il fuoco a Gaza, al rilascio di tutti gli ostaggi israeliani, a un massiccio aumento degli aiuti umanitari per i palestinesi di Gaza e a un ritorno alla calma in Libano e oltre la Linea Blu», ha dichiarato il portavoce di Guterres, Stephane Dujarric, in un comunicato.

Tra le condanne all’omicidio spiccano quella della Russia, per cui «tali azioni sono dirette contro i tentativi di portare la pace nella regione e, cosa ancora più grave, potrebbero destabilizzare notevolmente la situazione già tesa», e della Cina, che si «oppone fermamente e condanna» l’attacco e si dice «profondamente preoccupata per il potenziale aumento dell’instabilità regionale dovuto a questo incidente».

ANCHE I PAESI coinvolti direttamente nei negoziati, che per ora sono stati affossati insieme alle due vittime degli attacchi israeliani, Egitto e Qatar hanno condannato i raid. Per Doha, che accoglierà le spoglie di Haniyeh, si tratta di «palese violazione del diritto internazionale e umanitario». Su Twitter il primo ministro del Qatar ha aggiunto: «Come può avere successo la mediazione quando una parte assassina il negoziatore dell’altra parte?».

Per il Cairo gli attacchi minano «gli strenui sforzi compiuti dall’Egitto e dai suoi partner per fermare la guerra nella Striscia di Gaza» e «indicano l’assenza di volontà politica israeliana di calmare la situazione».