Il Perù profondo che si riversa sulla capitale, ovvero la Marcha de los cuatro suyos, come è stata chiamata la mobilitazione iniziata nel paese andino in riferimento alle quattro regioni del Tahuantinsuyo, l’impero inca. Come dire: il popolo peruviano si dirigerà a Lima da ogni angolo del paese. Era già successo una volta, nel 2000, contro la fraudolenta elezione di Alberto Fujimori. E si ripete ora contro il governo di Dina Boluarte e il Congresso controllato dalle destre, in una versione rivista e corretta – più cosciente, più politica – del tradizionale “que se vayan todos”.

LE RICHIESTE sono le stesse di quando è iniziata la mobilitazione il 7 dicembre, cioè dopo la destituzione e l’arresto di Pedro Castillo: la rinuncia della presidente Boluarte, lo scioglimento del Congresso, elezioni anticipate da svolgersi già quest’anno, l’avvio di un processo costituente, la liberazione di Castillo. Più la punizione dei responsabili delle inaudite violenze delle forze dell’ordine, il cui bilancio è ora di cinquanta morti, di cui 39 solo a Puno, e di centinaia di feriti, alcuni dei quali gravissimi.
Lo diceva già lo scrittore Manuel Scorza: «Nelle Ande i massacri si susseguono con il ritmo delle stagioni. Nel mondo ce ne sono quattro; nelle Ande cinque: primavera, estate, autunno, inverno e massacro».

I GRANDI MEZZI di comunicazione hanno dato ampio risalto solo alla morte di un sottufficiale, il 29enne José Luis Soncco Quispe, arso vivo nella sua auto di pattuglia a cui un gruppo di manifestanti aveva dato fuoco. Salvo poi censurare il padre, Eulogio Soncco, per aver pronunciato tra le lacrime una frase che non volevano sentire: «Per colpa di questa presidente, ci stiamo ammazzando tra peruviani».

Ci ha pensato però la stampa alternativa a raccontare la storia di molte delle altre vittime, dalla giovanissima promessa del calcio peruviano, il sedicenne Elmer Zolano Leonardo Huanca, alla studentessa universitaria che si prendeva cura degli animali abbandonati, Yamileth Aroquipa Hancco, fino al primo dirigente ucciso nelle proteste: Remo Candia Guevara, 42 anni, presidente amatissimo della più grande comunità contadina di Anta, raggiunto, con ogni probabilità intenzionalmente, da un colpo di arma da fuoco al torace l’11 gennaio. Le sue ultime parole sono state «Me estoy muriendo, carajo». C’era una folla enorme giovedi scorso, nel centro di Cusco, a dirgli addio, al ritmo del sacsampillo, una danza guerriera, proprio come avvenuto il giorno prima per il funerale delle 18 vittime di Juliaca, durante il quale la popolazione di Puno ha deciso di portare avanti le proteste.

ED È ANCHE nel nome di quelle vittime che i manifestanti che stanno giungendo a Lima – in carovane di migliaia di rappresentanti delle comunità aymara e quechua come pure di sindacati e organizzazioni popolari – sono decisi a restarci finché la presidente non rinuncerà. E con loro ci saranno l’organizzazione nazionale delle ronde contadine (incaricata di mantenere l’ordine e impartire giustizia a livello comunitario) e la Conacami (la confederazione delle comunità in lotta contro l’attività mineraria e l’estrazione petrolifera), la quale ha annunciato il blocco di tutte le miniere a livello nazionale.

Sono tutti i Garabombo del paese, il protagonista invisibile del celebre romanzo di Scorza che, insieme alla sua comunità, diventava visibile alle autorità solo quando si ribellava.

MA, BENCHÉ siano già tre i ministri che si sono dimessi in polemica con la violenza repressiva e almeno quattro i governi regionali (di Puno, Cusco, Apurimac e Ayacucho) che hanno ufficialmente chiesto a Boluarte di rinunciare, come anche dodici collegi di avvocati e il collegio dei professori, la presidente non ne ha alcuna intenzione, assicurando che non cederà a un «gruppo minuscolo di settori estremisti che incendiano e distruggono il paese» e intanto dichiarando lo stato d’emergenza a Lima, Cusco, Callao e Puno, con conseguente sospensione delle garanzie costituzionali, compresi il diritto alla libera circolazione e quello all’inviolabilità della propria abitazione.

Tanto minuscolo, però, il gruppo a cui si riferisce con disprezzo Boluarte non deve esserlo affatto, se è riuscito a dar vita da oltre un mese, e con la sola pausa delle festività natalizie, a proteste di massa in diverse regioni del paese, arrivando a realizzare domenica più di cento blocchi stradali.