L’Italia è un Paese con la memoria elastica. Prendiamo la cittadinanza onoraria che moltissimi comuni concessero fra il 1923 e il 1924 a Benito Mussolini. Il regime fascista si era appena insediato e in tanti fecero a gara a proclamare Mussolini cittadino onorario. Poi il fascismo cade, la guerra finisce, si diventa Repubblica, e di quell’onorificenza si dimenticano quasi tutti. Passano circa 80 anni e qualcuno, soprattutto l’Anpi, comincia a dire che bisognerebbe liberarsi di quella inopportuna benemerenza.

Fra le città che ne discutono vi è Bologna. Vincenzo Merola, in un’intervista del 2021 dice: «Nel 2014 ero per la revoca, ma il Consiglio comunale non ha proceduto. Visto quello che sta succedendo nel mondo, dove si cancellano statue od opere, credo sarà molto più educativo ricordare i giorni in cui Bologna prese una scelta del genere. A Bologna abbiano via Stalingrado e viale Lenin, oggi faremmo diversamente, ma si tratta di scelte che appartengono alla storia». E così abbiamo sistemato fascismo e comunismo sullo stesso piano. E Mussolini è ancora lì.

A Bergamo, nel 2015, la mozione per eliminare il dittatore dall’albo onorifico della città non passò con il consenso del sindaco Giorgio Gori, secondo cui era un errore perché «Denuncia una mancanza della necessaria distanza dai fatti della storia, quasi una sorta di rivincita a posteriori che però non cambierebbe nulla». Il consiglio comunale riuscì a togliere l’infausto nome quattro anni dopo, con l’astensione di Gori che disse: «Non è così che si determina il tasso di antifascismo».

Diciamo che potrebbe essere un inizio.

Pochi giorni fa il comune di Carpi non è riuscito a eliminare l’onorificenza a Mussolini per un solo voto, grazie all’assenza dei consiglieri di Lega, Fratelli d’Italia, Movimento Cinque Stelle e Carpi Futura secondo cui era una delibera «strumentale nei giorni della Liberazione». Strumentale? Dopo 98 anni?

Negli ultimi mesi o giorni, deve essersi mosso qualcosa nelle coscienze di alcuni consigli comunali perché Mussolini è uscito dall’albo dei cittadini onorari di Modena, Vignola, Bedizzole (Brescia), Adria, Alfonsine, San Miniato, Pontedera, Termoli, Empoli, Seregno, mentre resiste a Locorotondo, Brescia e i suoi comuni di Ghedi e Collio, tiene duro a Salò, Oristano, Anzio, Codogno, Finale Ligure, Ravenna, tanto per citarne alcuni. I comuni in Italia sono 7904. Chissà in quanti Mussolini è ancora nella lista dei benemeriti.

Toglierlo non vuol dire cancellare la storia e la memoria, ma segnare la fine di una pagina, anche perché, come sanno tutti gli archivi del mondo, nei documenti restano le date e mettere quella finale, in questo caso, significa non solo fare i conti con il fascismo, ma ricordarsi anche, come ha scritto Giampiero Cazzato in Patria indipendente, che «Nel 1923-1924 ci fu il boom delle Predappio d’Italia.

Non è un biennio qualunque. Sono gli anni dell’arresto di Piero Gobetti, delle bastonature e dell’olio di ricino, degli assalti squadristi ai giornali dell’opposizione, dell’assassinio di Giovanni Minzoni, dell’aggressione a Giovanni Amendola. Sono gli anni delle elezioni che – complice la legge Acerbo – assicurano ai fascisti la maggioranza del Parlamento, della censura sui giornali della sinistra. Sono gli anni segnati dall’omicidio del deputato socialista Giacomo Matteotti, reo di aver accusato in Parlamento i fascisti di aver compiuto intimidazioni e violenze di ogni tipo pur di vincere le elezioni».

I primi comuni a liberarsi dello scomodo cittadino furono Napoli e Matera nel 1944, Arezzo nel marzo 1945. Non vedevano l’ora.

mariangela.mianiti@gmail.com