Ricomincia a piovere. Gocce pesanti cadono sul fango, dritte, piene. Una donna emette un gemito di dolore, «non ancora», e si porta le mani agli occhi. L’enorme distesa sabbiosa sembra respirare di nuovo, pronta a riguadagnare terreno: il vento la spinge verso le case, gli scantinati, e i piani bassi colmi ancora della stessa poltiglia dalla notte dell’alluvione. L’acqua riprende vigore, e si corre al riparo lasciando i secchi, le pale, e le carriole in giro: si rimane a guardare inermi la pioggia scagliarsi al suolo. «L’acqua è arrivata da dietro, come un’onda», ma il fiume si era già riempito con i detriti, «e poi ha straripato anche qua davanti», spiega Raffaella, una signora intenta a ripulire la casa dal fango. Quello che c’era nel Misa ha fatto da tappo, mima, «perché l’acqua ha defluito nel mare fino ad un certo momento. Poi si è fermata». Ed è in quel momento che Senigallia si è riempita di terra, di mare, e d’angoscia, perché tutti qui ricordiamo il 3 maggio 2014.

QUANDO OTTO ANNI FA il Misa inondò la porzione sud della città, vennero sommersi interi quartieri sotto il peso dei resti della vallata e delle abitazioni: tra gli otto imputati finirono i due ex sindaci, Maurizio Mangialardi e Luana Angeloni, accusati di essere stati incapaci di fronteggiare l’alluvione. Secondo molti, l’inondazione dell’altro ieri non solo ha fatto più danni, ma ha colpito anche più zone, «abbiamo dovuto chiamare un bob privato», racconta ancora Raffaella, perché nonostante la macchina degli aiuti si sia attivata subito, i soccorsi non sono ancora riusciti a coprire tutta la zona.

TIRA VENTO, E IL CIELO È VIVIDO: la protezione civile plana con la macchina lungo lo Stradone Misa, tra le zone più colpite dall’esondazione, e annuncia: «arriva, andate ai piani alti». Ma Chiara scuote la testa, serra i denti e indica la casa smembrata dietro le spalle: «Come vivo io qui dentro», il suo giardino è una piscina marrone, «ho un mutuo sulla casa, ma è tutto da buttare». Ha un figlio, e dei mobili accatastati di fianco l’argine del fiume, come tutte le altre persone lungo la strada. Cosa fa adesso? Mentre raccolgono i resti delle loro case le persone parlano poco, camminano goffamente nel fango, a qualcuno monta la rabbia. «Co’ ‘te devo dì, non se ved’ quello che è successo?». Arriva la bomba d’acqua.

A SENIGALLIA PIOVE TRE ore senza rallentare di un soffio, con una bufera che piega gli alberi fino a terra. «Sembrava si inchinassero», dice una donna di mezza età, ma «avevo paura che il fiume straripasse di nuovo». Il vento che le fischiava nelle orecchie era come quello dell’altra notte – confessa – come quello che le ha spazzato via tutto quello che aveva. Quando esce il sole, la temperatura non riesce ad andare sopra i quindici gradi: all’ombra si trema, e la stanchezza inizia a mordere le gambe. «Io sono due giorni che non dormo», dice un signore sulla quarantina, «non riesco neanche più a ragionare». C’è il panettiere che non ha più il garage, l’edicolante che raccoglie i giornali da terra. Passi di fronte al bar dove sei solito prendere il caffè, ma non è rimasto nulla. «La parte economica della città è stata fortemente penalizzata. Il servizio alle persone, il commercio, il terziario», sarà danneggiato per i prossimi anni, dice un commercialista. «C’è bisogno di un intervento», ce n’era bisogno già ieri – puntualizza – perché l’inverno quest’anno sarà più lungo. Si continua a discutere dell’imprevedibilità, di quanto gli eventi potevano essere previsti: c’è di nuovo una mancata prevenzione, una storia di lavori non partiti e opere non eseguite. È crollato il ponte Garibaldi, doveva essere abbattuto e ricostruito: i fondi c’erano, aveva dichiarato nel marzo 2021 l’opposizione al comune governato dalla destra.

«MANCAVA DA PULIRE l’ultimo pezzo di fiume», quello che attraversa la città e che ha esondato, «era in programma», ha dichiarato alla stampa Massimo Olivetti, sindaco di Senigallia in questi giorni. Ci sono anche tre ponti ai quali andrebbero tolti i piloni, che fungono come una specie di tappo, ostacolando il flusso dell’acqua: se ne discute dal 2014, ma sono ancora lì. Conficcati nella terra. Dei fondi stanziati dal Ministero della Transizione Ecologica nel 2021, oltre 10 milioni di euro per interventi finalizzati alla mitigazione del dissesto idrogeologico nella Regione Marche, nulla è destinato al Misa, da sempre considerato fragile. Secondo l’ultima analisi Istat sul dissesto idrogeologico a Senigallia sarebbero 9.791 le persone che vivono in aree a pericolosità idraulica media, dietro solo a Pesaro, che conta 12.224 persone.

QUANDO CALA LA SERA il buio inghiotte una parte del lungomare, divorato prima dalle onde e poi dalla sabbia degli ultimi giorni. In alcuni punti della città la luce non è ancora tornata: la melma riflette il giallo di lampioni lontani, macchine che si alternano pigre, passanti che osservano in silenzio il fiume, tornato a mostrare i cumuli di terra depositata nel fondale.

IL MISA DIVIDE SENIGALLIA in due parti, esatte: viale Carducci, dall’altra parte del ponte, non esiste più. Dove si estingue la luce la città è sommersa dalla notte. Il fango inizia a puzzare, e con l’andare dei giorni il tanfo sarà ancora più forte, si seccherà, e toglierlo non sarà più possibile: è già tardi. Due ragazzi si attardano a rientrare, tutti gli altri sono nelle loro case. Chi può riesce anche a dormire.