Gli storici non vogliono parlare del presente e del futuro, poiché preferiscono analizzare processi già chiusi, afferma Lilia Moritz Schwarcz, antropologa e storica brasiliana. Tuttavia, lei stessa resiste a questa massima e non esita ad affrontare le intense trasformazioni del Brasile di oggi nelle sue analisi. Fra i più grandi nomi viventi della storiografia brasiliana, Lilia è professoressa di Antropologia all’Università di San Paolo e a Princeton. Negli ultimi anni ha avuto una presenza costante sui media e i social network, che le ha permesso di portare la propria conoscenza accademica e il suo sguardo critico a un vasto pubblico.
A Moritz Schwarcz piace dire che «il presente è pieno di passato» – e questa è la lente attraverso la quale osserva l’attuale politica brasiliana. Tra i suoi oggetti di studio ci sono il periodo imperiale, il razzismo strutturale e le origini dell’autoritarismo brasiliano, spesso mascherato dalla mitologia secondo cui i brasiliani sono un popolo “pacifico e accogliente”. Nella sua opera, dimostra che la realtà è molto più violenta, segnata dall’eredità perversa della schiavitù e dalla logica di dominazione del sistema coloniale, che si traduce in una nazione profondamente disuguale e con spazio per leader populisti e autoritari. Tuttavia, nonostante la probabile permanenza di un bolsonarismo incarnato da grandi gruppi legislativi e governatori, secondo la storica con la vittoria di Lula la democrazia brasiliana si rafforza.

Lula ha dichiarato che governerà «per un solo Brasile». Abbiamo oggi una società divisa?
Innanzitutto bisogna ricordare come Jair Bolsonaro abbia dissanguato lo Stato per tentare la sua rielezione, sacrificando soprattutto l’istruzione e la salute. Quindi io credo che gran parte del suo elettorato sia stato gonfiato dall’uso della macchina pubblica. Per quanto riguarda la polarizzazione ideologica, questo fenomeno ha avuto inizio dopo la recessione economica del 2014, approfondendosi con l’impeachment di Dilma Rousseff e, successivamente, l’arresto di Lula, che, come ormai sappiamo, facevano parte dello stesso meccanismo. Bolsonaro ha sfruttato questa polarizzazione, governando senza un progetto sociale e basandosi sul caos politico. La buona politica, tuttavia, si basa sulla costruzione del consenso. Penso che la formazione ministeriale del nuovo governo abbia proprio l’obiettivo di mitigare questa divisione.

La democrazia brasiliana ha fallito negli ultimi quattro anni?
Credo che la democrazia sia un regime inconcludente per definizione e quindi, fallibile. Questa è la sua bellezza e la sua sfida. Quello che vediamo succedere ora è già successo molte volte: il nazismo, il fascismo, sono stati una reazione a momenti in cui la democrazia appariva molto pulsante. Politici di estrema destra sono emersi in tutto il mondo in un contesto di recessione, in cui le classi medie urbane si sono trovate private dei loro diritti e privilegi. Gli autoritarismi contemporanei colpiscono senza carri armati e soldati, ma corrodono la democrazia dall’interno. Come quando Bolsonaro scelse ministri come Ricardo Salles, dell’Ambiente, favorevole alla deforestazione, o Sérgio Camargo, presidente della Fondazione Palmares, contrario all’attivismo nero. D’altra parte, un cambiamento come quello che sta avvenendo, con l’elezione di un dichiarato nemico del presidente, è salutare. Abbiamo dimostrato che le elezioni brasiliane sono sicure e hanno funzionato.

Qual è il rapporto tra l’autoritarismo, le chiese evangeliche e il militarismo in Brasile?
In Brasile si è formata una collusione tra l’estrema destra e alcune chiese molto potenti, le cosiddette pentecostali, che ha eletto non un presidente, ma un “mito”. Con un mito non c’è contratto sociale, solo rispetto e cieca obbedienza. Il militarismo è un’altra specificità del Brasile: Bolsonaro ha voluto forgiare questa immagine che l’esercito è il vero punto di equilibrio della democrazia, anche se non lo è mai stato. Il suo governo ha istituito il più grande ministero militare che abbiamo mai avuto, anche più grande che durante la dittatura. L’unione di questi fattori ha colto di sorpresa il settore progressista del Brasile.

I bolsonaristi hanno avuto un buon risultato nelle elezioni per il legislativo e i governatori di alcuni stati chiave. Questo cenno all’autoritarismo recupera un elemento costitutivo della storia brasiliana?
Il Brasile è stato a lungo una colonia del Portogallo, fino al 1822, e noi siamo stati l’ultimo paese ad abolire la schiavitù. Qui la disuguaglianza è stata naturalizzata. Per lungo tempo siamo stati un paese esportatore di materie prime, colonizzato da una metropoli lontana, che delegava i poteri ai grandi latifondisti. Diverse caratteristiche come il razzismo strutturale, il patrimonialismo, l’autoritarismo e la corruzione sono nel nostro passato-presente. È necessario discutere questioni di riparazione economica e anche simbolica, il diritto alla memoria.

Quali saranno le principali sfide di Lula?
Riuscendo a superare l’opposizione dei politici contrari al suo progetto, Lula dovrà fare i conti con la situazione catastrofica delle casse dello Stato. Dovrà anche riprendere la lotta per la sicurezza pubblica e contro la disuguaglianza e il razzismo, che è la grande contraddizione della società brasiliana. Non c’è democrazia se esiste il razzismo. Sono sfide sociali di questa natura che dovremo affrontare.