Per la prima volta dall’inizio del conflitto, la posizione di Recep Tayyip Erdogan è apparsa inequivocabile: «Hamas non è terrorista ma un gruppo di liberazione», aveva detto mercoledì, generando una serie di reazioni negative a livello internazionale: da Gerusalemme il ministro della Cultura israeliano Miki Zohar ha definito il presidente turco come «politico che sostiene il terrorismo» e da Roma Matteo Salvini ha definito «disgustose» le sue parole.

IL PRESIDENTE STA CON HAMAS e contro il governo israeliano. Ha anche annunciato la cancellazione della sua prevista visita in Israele, sottolineando inoltre che il suo governo è pronto a creare un corridoio umanitario per portare aiuti a Gaza e trasferire le persone ferite in Turchia per le cure necessarie.

Nel discorso ai parlamentari del suo partito, l’Akp, Erdogan ha anche criticato il «mondo occidentale» per il suo appoggio a Tel Aviv. E ha condannato le restrizioni alla libertà di espressione emerse in questi giorni: «Le porte della Turchia sono aperte per quegli studenti universitari che non possono esprimere la loro solidarietà con la Palestina in Europa». Proprio oggi si terrà a Istanbul, due giorni prima dei festeggiamenti per il centenario della Repubblica, una grande manifestazione pro-Palestina organizzata dal partito al governo.

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All’inizio del conflitto Erdogan aveva lanciato messaggi ben più moderati. Le motivazioni dietro questa mossa radicale possono essere diverse: potrebbe essere il voto parlamentare sull’adesione della Svezia alla Nato, dopo la firma a sorpresa del presidente qualche giorno fa. Questo è un processo politico in corso da un anno, con forti tensioni e numerose richieste di Ankara soddisfatte e ancora da soddisfare da parte di Stoccolma.

È INNEGABILE CHE LA TURCHIA si posizioni ora come il secondo paese al mondo, dopo l’Iran, a sostenere Hamas in modo così aperto. Inoltre, la Turchia è l’unico paese della Nato a prendere una simile posizione. E potrebbe anche avere la possibilità di dialogare direttamente con Hamas in futuro.

Va notato anche che il presidente nel suo discorso ha espresso forti critiche nei confronti degli Stati Uniti, parlando di un rapporto ormai basato su tensioni, ricatti e anche negoziazioni. Una critica che avviene poche settimane dopo l’abbattimento di un drone turco in Siria da parte dell’esercito statunitense.

Le conseguenze di questa nuova posizione sono difficilmente prevedibili nel futuro, tuttavia la svolta non ha sorpreso: Erdogan ha coltivato legami con Hamas fin dall’inizio della sua carriera politica. Con il passare degli anni, l’organizzazione ha trovato riconoscimento e supporto in Turchia.

ORA IL PRESIDENTE TURCO ha aggiunto un nuovo capitolo alle tensioni storiche con Tel Aviv. Da sottolineare che nonostante gli scontri diplomatici del passato, il commercio bellico non è mai stato completamente interrotto. Dunque, sembra che Erdogan si sia schierato sempre a favore di Hamas senza però chiudere definitivamente le porte a Israele.

Questa sua nuova posizione ha anche un impatto sulla politica interna: mentre da una parte le richieste radicali e le dichiarazioni dei suoi alleati, pronunciate in queste settimane a favore di Hamas hanno trovato risonanza nelle parole del presidente, dall’altra le fazioni conservatrici dell’opposizione, che hanno seguito una linea più moderata in questo periodo, ne hanno ricavato una sorta di attestato di coraggio politico.

È importante notare che questa dinamica politica si svolge in un paese dove lo Stato di diritto è inesistente, la magistratura è sotto il controllo delle organizzazioni criminali e religiose, le carceri sono piene di oppositori e giornalisti, e qualsiasi forma di manifestazione contro il governo viene repressa duramente.

INFINE, il presidente che ha criticato Israele per il mancato riconoscimento dei confini della Palestina e ha sostenuto il diritto all’autodifesa dell’Hamas, è lo stesso presidente che ha adottato una politica di invasione, occupazione e distruzione, sia direttamente in Siria e in Iraq, distruggendo le unità di difesa territoriali curde, che indirettamente in Armenia e in Libia, imponendo le sue scelte politiche sul territorio.