Più che «utile», il voto per Lula è, come ha scritto il giurista Conrado Hübner, «un voto di sopravvivenza»: quella di un modello di società in cui trovino posto la solidarietà, la giustizia (sociale e ambientale), l’uguaglianza. Ed è un voto che va espresso già al primo turno, domenica prossima: perché una vittoria immediata di Lula non indicherebbe solo, nel modo più potente, che la presidenza Bolsonaro è stata solo una tragica parentesi, ma risparmierebbe al paese le violenze che hanno funestato nel 2018 la campagna per il secondo turno e indebolirebbe in eventuali ballottaggi i candidati bolsonaristi alla carica di governatore. Ma, soprattutto, legittimerebbe con più forza il programma governativo del leader del Partito dei lavoratori, scongiurando il rischio di nuove concessioni alle “forze del mercato” in vista del ballottaggio. Ne abbiamo parlato con l’ecoteologo Leonardo Boff, uno dei padri fondatori della Teologia della liberazione, che di Lula conosce bene la passione, la determinazione, i sogni, ma anche i limiti della visione politica.

Ce la farà Lula a vincere già domenica?
La possibilità è reale. Si sta registrando un significativo travaso di voti a suo favore da parte di molti elettori di altri candidati per mettere fine già al primo turno all’incubo rappresentato da un presidente che disprezza i poveri, gli indigeni, i neri, gli omosessuali, le donne, che tratta gli avversari come nemici, che difende apertamente la tortura e si dichiara ammiratore di Pinochet, che – è stato calcolato – è capace di mentire sette volte al giorno. Che nega il dramma di 33 milioni di persone che soffrono la fame e di 110 milioni di persone sottoalimentate. Un presidente, insomma, che appartiene più all’ambito della psichiatria che a quello della politica. In questo quadro, quello che è in gioco domenica è lo scontro tra la civiltà e la barbarie, tra la democrazia e il neofascismo.

Quanto è reale il rischio di un golpe? E i militari che ruolo possono giocare?
Esistono più di 6mila militari ai diversi livelli dell’amministrazione, ma non in servizio attivo. E se è vero che l’Alto Comando è diviso tra quelli che vogliono un Brasile più autonomo e quelli più asserviti alle strategie imperialiste Usa, nessuno dei generali in servizio attivo si è mostrato incline a sostenere le eventuali avventure golpiste del presidente. Il rischio reale viene dai fanatici del suo zoccolo duro che si sono armati in seguito ai suoi decreti, grazie a cui circolano più di un milione di armi in mano ai civili. Bolsonaro, che ha più volte lasciato intendere di non essere disposto ad accettare una sconfitta, potrebbe scatenare i suoi miliziani e provocare un’ondata di violenza, ma è difficile che la sua strategia golpista abbia successo. E in ogni caso, l’Unione europea e il governo Usa hanno già fatto sapere che riconosceranno immediatamente la legittimità di un’eventuale vittoria di Lula.

In questa campagna elettorale quanto si è parlato dell’Amazzonia, degli ecosistemi minacciati, dei popoli indigeni, della crisi climatica?
Si è assistito a una grave assenza di questi temi nei dibattiti politici. È grazie al sostegno di Marina Silva, grande conoscitrice dell’Amazzonia, che si è iniziato un po’ a parlare di ecologia. Quando era in prigione, Lula, grazie alle pressioni di vari amici, comprese le mie, si è reso conto di quanto il tema ambientale e climatico sia strategico. Nel suo programma, tuttavia, l’agenda ecologica, pur presente, non ha assunto la centralità necessaria, malgrado la sua importanza cruciale per il futuro della vita già nei prossimi 4-5 anni, secondo l’allarme dell’Ipcc e dell’Organizzazione meteorologica mondiale.

In effetti, a differenza di quanto si propone Gustavo Petro in Colombia, Lula non mette in discussione il modello estrattivista: la sfida, per lui, è piuttosto rilanciare la Petrobras come «grande impresa nazionale» e fare di nuovo del Pré-Sal «il passaporto per il futuro» del paese. Non sembra un programma molto incoraggiante…
Ai suoi amici Lula ha detto: se vinco le elezioni il mio discorso pubblico sarà più moderato, ma punterò a dar vita a una rivoluzione sociale radicale; a 76 anni, è l’ultima chance della mia vita e voglio fare il massimo a favore dei poveri di questo paese. E ha aggiunto di aver bisogno per questo di un ampio appoggio da parte dei movimenti sociali, al di là delle alleanze con le forze parlamentari disposte a combattere una delle maggiori disuguaglianze al mondo. Se questa opzione è chiara, Lula si pone però ancora all’interno del vecchio modello capitalista. Combatte, sì, il neoliberismo, ma non prende le distanze dal capitalismo come sistema omicida ed ecocida con la profondità richiesta dalle minacce che incombono sul sistema-vita e sul sistema-Terra.

La presenza di Marina Silva nei governi di Lula non era bastata a spostarne un po’ il baricentro verso politiche più sostenibili. Il suo sostegno di adesso cosa comporterà?
Tutti i progressisti e gli ecologisti hanno celebrato la riconciliazione tra Marina Silva e Lula. Da fonti vicinissime a Marina, so che lei ha condizionato il proprio appoggio alla realizzazione di quasi tutti i punti del suo programma, il quale prevede tra l’altro l’azzeramento della deforestazione in Amazzonia, un’ampia riforestazione delle regioni devastate dall’agribusiness e la creazione di centri di ricerca all’interno della foresta con la presenza di studiosi di tutto il mondo. Il Brasile potrebbe diventare una potenza ecologica sfruttando in maniera sostenibile l’immensa ricchezza della sua biodiversità. Penso che Marina svolgerà un ruolo importante nel prossimo governo, operando in maniera che il fattore ecologico attraversi trasversalmente tutti i ministeri.

Come è possibile tutelare l’Amazzonia senza ridimensionare quell’agribusiness a cui Lula continua a garantire il massimo appoggio?
Lula riconosce l’importanza dell’agribusiness per le finanze del paese, ma vuole che esso produca anche per il consumo interno e non solo per l’esportazione – quanto si trova sulla tavola dei brasiliani proviene per il 70% dall’agricoltura familiare e dall’agroecologia -, e non a scapito della natura e delle riserve indigene. In tale ambito Lula ha fatto progressi nel modo di considerare l’agribusiness e i suoi rischi ecologici.

La scelta di Alckmin come vice, il sostegno di Henrique Meirelles, la ricerca delle più ampie alleanze indicano chiaramente che il prossimo sarà un nuovo governo di coalizione, non certo un governo socialista.
Lula è un politico di grande esperienza. Sa di cosa sono capaci le dieci famiglie che controllano una ricchezza equivalente a quella di cento milioni di brasiliani. Noam Chomsky ha dichiarato recentemente di non aver mai visto un disprezzo per i poveri e per i lavoratori come quello mostrato da una parte significativa dell’élite brasiliana. È l’élite do atraso, dell’arretratezza, come l’ha definita il sociologo Jessé Souza: quella dei discendenti dei proprietari di schiavi che si sono alleati tra loro per assicurarsi i propri privilegi alle spalle della società. E che hanno risposto al tentativo di portare avanti un progetto di inclusione sociale da parte di Lula e Dilma Rousseff con il golpe parlamentare-giuridico-mediatico del 2016. Per questo è importante l’appoggio di figure come Alckmin, che è in grado di dialogare efficacemente con la classe imprenditoriale e con il sistema bancario, e dell’ex ministro dell’Economia Meirelles, che è molto rispettato dal mercato nazionale e internazionale.