Bad Nauheim, località termale a nord di Francoforte sul Meno, divenuta famosa agli inizi del Novecento, nell’epoca d’oro dell’idroterapia, era stata scelta, nel settembre del 1920, per ospitare il congresso dell’Associazione degli scienziati e dei medici tedeschi; il 23 di quel mese, era previsto un confronto/scontro tra due giganti della fisica: Philipp von Lenard, premio Nobel nel 1905, contro Albert Einstein, che non aveva ancora vinto il Nobel, ma era già il fisico più noto al mondo, essendo stata confermata – nel novembre del 1919, durante un’eclisse totale di sole – la deflessione dei raggi di luce causata dai campi gravitazionali, da lui prevista nel 1911.

La discussione tra Lenard e Einstein era stata anticipata da un fatto accaduto a Berlino un mese prima. Un nazionalista tedesco di nome Paul Weyland aveva costituito una fantomatica «Associazione degli scienziati tedeschi per la salvaguardia della scienza pura», e si era dato da fare a raccogliere fondi e articoli contro le teorie di Einstein. Tra i saggi più qualificati ce n’era qualcuno prodotto dallo stesso Lenard, che già nel 1905 era rimasto probabilmente stizzito, perché ai risultati sperimentali che gli avevano garantito il Nobel, Einstein era riuscito a dare una spiegazione teorica.

Max Planck moderatore
In Paul Weyland, come in Lenard, la foga polemica era anche motivata dall’intento di «ridurre l’influenza ebraica dominante, che si manifesta in misura crescente nel governo e nella vita pubblica»: perciò, dopo aver promosso iniziative minori in gran parte della Germania, il gruppo dei «difensori della scienza pura» convocò una grande manifestazione pubblica alla Filarmonica di Berlino, il 14 agosto 1920. Einstein volle assistere, nonostante venissero distribuiti all’ingresso opuscoli e distintivi con la svastica e altro materiale nazionalista e antisemita: secondo i suoi biografi, «si divertì moltissimo»; però, tre giorni dopo, il giornale liberale Berliner Tageblatt pubblicò una sua asperrima replica, che si concludeva con una sfida rivolta apertamente a Lenard: avrebbero confrontato i loro argomenti nell’imminente congresso degli scienziati tedeschi. Alla moglie, agli amici e ai colleghi che giudicarono quella replica pubblica un grave errore, Einstein replicò: «Non siate severi con me (…). Ognuno deve recare di quando in quando la propria offerta sacrificale all’altare della stupidità, per compiacere la divinità e gli uomini; e io l’ho fatto a dovere, con quell’articolo».

Non ci sono resoconti accurati della discussione che si svolse a Bad Nauheim; di certo, i due contendenti – Philipp von Lenard e Einstein – rimasero fermi nelle loro posizioni e Max Planck, che presiedeva il dibattito, concluse la seduta appellandosi alla mancanza di tempo per ulteriori repliche. Da fonti indirette, sappiamo che Einstein perse a tratti la sua flemma ordinaria, e si lasciò prendere dall’eccitazione. Che quel genio, avvezzo alla meditazione solitaria, fosse incline a smarrire il controllo lo sappiamo dalla sorella Maja, che ricordava come – nei momenti d’ira – il piccolo Einstein «impallidiva, la punta del naso gli diveniva bianca e perdeva il controllo di sé». La costruzione di una figura iconica – profonda, benevola, riflessiva, di ampie vedute – era arrivata con gli anni; e alla fama internazionale di Einstein aveva anche contribuito il suo atteggiamento ambivalente verso la pubblicità: affidò la sua prima biografia – proprio nel 1920 – a un giornalista ebreo che aveva scritto in precedenza libri umoristici, o sull’occultismo.

Il suo amico e collega Max Born ne fu scandalizzato: «le teorie di Einstein erano state già bollate con il marchio della “fisica giudaica” da colleghi che non le capivano (…). A questo punto, si fa avanti uno scrittore ebreo che ha già al suo attivo parecchi titoli scandalistici e comincia a scrivere su Einstein un libro dello stesso genere».

Già negli attacchi di Weyland e della sua cricca, Einstein era presentato come un impostore, che sapeva vendere bene la sua «paccottiglia» teorica.

Nel frattempo, le convinzioni reazionarie di Lenard e Stark avevano assunto connotati più radicali. Dopo l’assassinio di Wakter Ratenau – ministro degli esteri della Repubblica di Weimar e amico personale di Einstein – Lenard si era rifiutato di esporre la bandiera a mezz’asta nell’Istituto che dirigeva. Un anno prima, un quotidiano reazionario di Berlino aveva stabilito che – per Einstein e gente della sua risma – c’erano evidenti prove di tradimento: «considereremo ogni tedesco che abbatta questi mascalzoni come un benefattore dell’umanità».

Dopo il tentato colpo di stato di Monaco, Lenard e Stark dedicarono a Hitler un proclama, dichiarando che consideravano un privilegio, «un dono di Dio», avere un «genio» di tale fatta tra loro; e che condividevano lo stesso spirito di Hitler nei riguardi del mondo. Quale fosse questo particolare spirito si andò precisando nel 1933, quando Lenard e Stark cercarono di chiarire le discriminanti epistemologiche della scienza «pura», caratterizzata più precisamente come scienza «nordica», poi come scienza «pragmatica». Due anni dopo, Lenard pubblicò una poderosa opera in quattro volumi, dedicata appunto alla «fisica tedesca», ovvero alla «fisica ariana», o «fisica dei popoli del nord», che sarebbe anche la «fisica degli esploratori della realtà, la fisica di chi ha fondato la ricerca scientifica». Di più: «come tutte le creazioni umane, la scienza è determinata dalla razza e dal sangue».

«Ognuno deve recare di quando in quando la propria offerta sacrificale all’altare della stupidità, per compiacere la divinità e gli uomini; e io l’ho fatto a dovere, con quell’articolo» (Alberto Einstein)

Scienza degenerata?
Questa forma estrema di relativismo culturale (o meglio, razziale) poggiava in definitiva su un’opposizione di carattere epistemologico, legata al profilo di Lenard, in quanto fisico sperimentale: «la conoscenza scientifica procede senza eccezioni come un lento percorso di rifinitura, passo per passo, la cui affidabilità migliora gradualmente. Dunque, soltanto il materiale vecchio, sufficientemente testato, è degno di essere letto con attenzione».

In un quadro del genere, l’uso intensivo del formalismo matematico, l’introduzione di nuove ipotesi, l’eccessiva astrazione, costituivano per Lenard una degenerazione del metodo scientifico, analoga a quella della letteratura e della pittura coeva, che il nazismo sistematicamente perseguiva. Toccò poi a Stark, pochi mesi dopo, precisare meglio in cosa consistesse la degenerazione della scienza «giudaica», coinvolgendo nella sua critica tutti i principali teorici del primo Novecento: «le teorie relativistiche di Einstein sono sostanzialmente niente di più che una paccottiglia di formule artificiali, basate su definizioni arbitrarie e su trasformazioni delle coordinate spaziali e temporali. Lo scalpore e la propaganda della teoria della relatività di Einstein fu seguita dalla teoria delle matrici di Heisenberg e dalla cosiddetta meccanica ondulatoria di Schrödinger, l’una più impenetrabile e formalistica dell’altra. Malgrado l’accumulo di montagne di questo tipo di letteratura, tutto ciò non ha comportato alcuna nuova conoscenza di fatti reali». Così, anche i contributi di sommi fisici non-ebrei furono iscritti in una nuova categoria: quella degli «giudei bianchi», o fisici «dogmatici».

Irritati persino i burocrati
Tanto zelo critico venne favorevolmente accolto dalle alte gerarchie del nazismo per un tempo abbastanza limitato. Lenard, e soprattutto Stark, cominciarono a irritare i burocrati del regime, invadendone le prerogative: la distribuzione dei finanziamenti, l’assetto organizzativo, la progressione delle carriere. Nei primi anni Quaranta, Stark arrivò a confessare a Lenard che stava valutando di lasciare il partito nazista, al quale si era iscritto nel 1930. Lenard suggerì di pensarci bene, anche se dovette ammettere che i capi del nazismo erano più interessati a speculazioni pseudoscientifiche ed esoteriche, che alla «scienza ariana».

Intanto, dall’altra parte del mondo, la fisica di Einstein e di coloro che i due avevano tenacemente combattuto conferiva ai nemici della Germania una potenza senza pari, che mise fine alla Seconda Guerra Mondiale