Condannata a una multa di 600 euro per avere scandito lo slogan «From the River to the Sea» durante una manifestazione pro Palestina nel quartiere di Neukölln. «Ha incitato a difendere le azioni Hamas» è la tesi dei giudici del tribunale distrettuale del Tiergarten che (per la prima volta a Berlino) ha sentenziato sull’utilizzo di questa espressione in una demo pubblica.

«Nessun odio. La frase si presta a interpretazioni ambigue. Non si può censurare un elemento caratterizzante del movimento di solidarietà palestinese» replica Alexsander Gorsky, avvocato difensore di Ava M., 22 anni, tedesca di origine iraniana, finita alla sbarra tra le proteste non solo dei 150 filo-palestinesi che ieri hanno assediato pacificamente l’Aula del Tiergarten. «Rivendico quelle parole ancora oggi. Non dimostrano il sostegno ad Hamas ma la mia posizione per raggiungere la pace nella regione» tiene a precisare Ava alla Corte dopo aver raccontato la sua drammatica storia di rifugiata da una persecuzione che «ovviamente ha influenzato la mia visione politica».

Nulla da fare: secondo i magistrati berlinesi si tratta indubitabilmente del reato di «sedizione» contro Israele, nonostante la giurisprudenza sia tutt’altro che concorde in materia, come provano le due sentenze dei tribunali distrettuali di Münster e Colonia dello scorso dicembre. Diversamente dai colleghi della capitale, all’epoca i giudici del Nordreno stabilirono la legalità non solo dello slogan incriminato ma pure delle frasi che invitano a fermare il genocidio a Gaza. Il diritto di critica in Germania è «protetto dalla libertà di espressione e gli slogan sono diretti contro Israele e non contro gli ebrei» fu la sentenza accolta con sollievo dall’European Legal Support Center, promotore della causa.

Insomma, in punta di diritto, ciò che si può dire nel Nordreno perché «oggettivamente le parole non contengono elementi incriminabili», a Berlino è vietato perché «incita all’odio».