La maglia della nazionale di calcio del Brasile è diventata il simbolo politico della destra di Bolsonaro che ha dato l’assalto al parlamento e al palazzo presidenziale di Brasilia. Tra gli assalitori che hanno invaso il Palazzo di Planalto, il Congresso e la sede del Tribunale supremo, coloro che indossavano la maglia della nazionale brasiliana erano i più facinorosi. La gran parte di loro avevano quella con il numero 10, indossata da Neymar ai mondiali di calcio in Qatar. L’attaccante brasiliano alle prese con il fisco brasiliano per le sue ingenti evasioni è stato graziato da Bolsonaro in cambio di una esplicita dichiarazione di voto. Durante la campagna elettorale la quasi totalità dei calciatori della nazionale si è schierata a favore di Bolsonaro, ad eccezione di Richarlison, autore di due gol contro la Serbia ai mondiali, che si è dichiarato a favore delle politiche ambientaliste di Lula per l’Amazzonia e in Qatar a sostegno dei diritti Lgbtq+.

Lo scippo della maglia verdeoro da parte di Jair Bolsonaro ha un significato simbolico chiaro: siamo noi il Brasile. Infatti, in più occasioni, durante la recente campagna elettorale per le presidenziali si è presentato davanti ai suoi sostenitori indossando la maglia della nazionale di calcio aggiungendola così allo slogan Dio, Patria e Famiglia e costringendo Lula a fare altrettanto in qualche comizio. Nelle giornate che hanno preceduto l’insediamento di Inacio Lula da Silva, i sostenitori di Jair Bolsonaro hanno sostato a lungo davanti alle caserme con le maglie verdeoro, chiedendo esplicitamente ai militari di prendere il potere.

Fuori campo
Se il 6 gennaio del 2021 negli Stati Uniti, dopo l’assalto dei seguaci di Trump a Capitol Hill, il simbolo di quella violenza fu identificato con Jake Angeli vestito da sciamano, nell’assalto al palazzo presidenziale di Planalto il simbolo politico è rappresentato dalla maglia della nazionale di calcio del Brasile. La partita di football, che l’antropologo inglese Desmond Morris già quaranta anni fa nella sua opera La tribù del calcio ha definito simbolicamente una guerra in campo tra due fronti contrapposti ben identificabili con i colori delle maglie, dopo l’assalto al palazzo presidenziale di Brasilia si trasferisce fuori dal rettangolo verde e si gioca sul terreno più strettamente politico.

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Negli ultimi trenta anni anche in altre parti del mondo le maglie di calcio hanno fatto sempre più capolino tra i manifestanti che protestavano per motivi ben diversi da quelli che hanno mosso «i fanatici fascisti» brasiliani, come li ha definiti Lula. Recentemente sono state le donne dell’Iran a protestare per la morte della curda Masha Amini, la prima ragazza deceduta a seguito delle violenze della polizia iraniana. Numerose ragazze con coraggio hanno indossato o esposto in pubblico la maglia della nazionale iraniana con il suo nome e il 22 sul retro, numero che indicava i suoi anni. La maglia bianca con il bordo rosso e il nome di Masha è stata esposta anche sugli spalti ai campionati di calcio che si sono tenuti di recente in Qatar, quando giocava l’Iran.

Un anno fa, quando i venti di guerra soffiavano da est e i carri armati russi si concentrarono ai confini dell’Ucraina, furono i colori giallo e azzurro della nazionale ucraina a comparire nelle manifestazioni pacifiste europee e nei presidi davanti alle ambasciate russe, le stesse che un anno prima i calciatori ucraini avevano indossato agli Europei di calcio vinti dagli Azzurri.

I turchi
Nel 2013, durante le manifestazioni di massa che si svolsero in Turchia contro le politiche liberticide di Erdogan, la protesta dei manifestanti si concentrò per settimane a Gezi Park. I protagonisti di quella protesta furono i gruppi ultrà che per primi dettero man forte agli occupanti e si scontrarono duramente con la polizia turca. In quei giorni tanti manifestanti indossarono le maglie delle squadre di calcio del Galatasaray, Besiktas, Istambul Basaksehir, Kesimpasa e il Fenerbhace, compagini che giocano nella massima serie del campionato di calcio della Turchia. Una delle vittime della repressione di Erdogan è stato il calciatore della nazionale turca Hakan Sukur, centravanti che ha realizzato il maggior numero di gol con i colori della mezza luna. Eletto in parlamento nel partito di Erdogan, divenne suo acerrimo oppositore politico a seguito dei tentativi di Erdogan di insabbiare gli scandali in cui era coinvolto. Accusato di essere un fiancheggiatore di Fethullah Gulen, che nel 2016 tentò un colpo di Stato, secondo Erdogan, il centravanti Hakan Sukur, che in Italia giocò nell’Inter guidata da Cuper, poi nel Parma e nel Torino, fu costretto a scappare dalla Turchia. Oggi fa il tassista a New York, privo di tutti i beni materiali che Erdogan gli ha fatto sequestrare, mentre il padre giace nelle galere turche, accusato insieme a migliaia di oppositori di essere stato tra i sostenitori di Gulen.

Nella guerra dei primi anni ‘90 del secolo scorso, che portò allo sfaldamento della ex Jugoslavia furono le maglie della Stella Rossa di Belgrado a essere indossate dalle «Tigri» del capo ultrà Arkan, in prima fila nelle operazioni di stupro e di pulizia etnica effettuata dai serbo-bosniaci a Sarajevo.

Lo scippo azzurro
In tempi in cui i venti del nazionalismo tornano a soffiare forte sull’Europa e in altre parti del mondo, le contrapposizioni tra Paesi vicini in nome della «Nazione» diventano sempre più forti, anche la maglia della Nazionale di calcio diventa un valore politico aggiunto. Annoverare tra i propri simboli politici la maglia nella quale si identifica l’identità di un Paese in nome della sfera di cuoio, diventerà nei prossimi anni un’operazione politico- calcistica di primo piano. Senza dimenticare che il primo scippo a spese del patrimonio del calcio azzurro fu effettuato nel 1994 da Silvio Berlusconi, che alla sua formazione politica dette il nome di «Forza Italia» e i suoi aderenti ancora oggi sono indicati con il nome di «azzurri».
Nella furbizia politica siamo i campioni del mondo.