L’Egitto respinge come «non veritiera» la risoluzione d’urgenza, approvata giovedì a stragrande maggioranza dal Parlamento europeo, che chiede giustizia per Giulio Regeni e condanna la violazione dei diritti umani e l’uso sistematico dei sequestri e della tortura contro gli oppositori da parte degli attuali apparati dello Stato nordafricano.

E lo fa mentre si prepara ad accogliere, lunedì prossimo, con la massima autorità giudiziaria egiziana, il capo della procura di Roma Giuseppe Pignatone e il pm Sergio Colaiocco, titolare dell’inchiesta sull’omicidio del ricercatore friulano, invitati al Cairo dallo stesso regime di Al-Sisi per sventare una crisi diplomatica con l’Italia e mostrare disponibilità alla collaborazione in ambito investigativo, come d’altronde richiesto pure da Bruxelles.

Un incontro con il procuratore generale egiziano Nabil Hamed Sadek che senz’altro è un passo avanti rispetto al muro di gomma fin qui opposto. E che gli inquirenti italiani sperano redditizio anche per ottenere i documenti investigativi richiesti inutilmente da settimane. Ma è chiaro fin da subito che sarà difficile aprire un canale reale di informazioni senza la presenza del capo della procura di Giza, Ahmed Nagy, che conduce di fatto l’inchiesta e che ha già dichiarato di non essere neppure stato avvisato dell’appuntamento, e di non aver mai ricevuto – finora – l’ordine di collaborare con gli uomini del Ros e dello Sco, da un mese al Cairo. In ogni caso, il fatto che lo stesso Pignatone si prepari a volare in Egitto è, per il Guardasigilli Andrea Orlando, «il segno di una volontà delle autorità giudiziarie italiane di andare fino in fondo alla vicenda» e «l’iniziativa di un Paese che vuole la verità». Pur sapendo che da parte egiziana potrebbero arrivare richieste di «collaborazione» che hanno l’odore di complicità, e che vanno nella direzione opposta a quella di un Paese che si aspetta trasparenza e rigore nella persecuzione dei responsabili dell’efferato omicidio.

Il regime di Al Sisi infatti non sembra affatto disposto ad allinearsi alle convenzioni internazionali sui diritti dell’uomo, e nemmeno a rispettare la Costituzione egiziana «adottata nel 2014» che «sancisce diritti e libertà fondamentali», come ricorda la risoluzione del Parlamento Ue. Il giorno dopo del voto a Bruxelles, il primo a respingere ogni accusa è il ministero degli Esteri egiziano, seguito da un pronunciamento del Parlamento del Cairo.

Affermazioni «non veritiere», che «non rispecchiano la reale situazione» del Paese, «e si basano su racconti e illazioni senza alcuna prova», afferma in una nota il portavoce della diplomazia egiziana, Ahmed Abu Zayd. «Inserire forzatamente il caso dell’omicidio dello studente italiano Giulio Regeni in una risoluzione che tratta la situazione dei diritti umani in Egitto evoca allusioni che respingiamo e anticipa l’esito dell’inchiesta che le autorità egiziane stanno conducendo in totale collaborazione e coordinamento con quelle italiane», riesce ad affermare Zayd. Che considera «spiacevole» che il Parlamento europeo tratti «accuse non documentate e rapporti mediatici imprecisi alla stregua di verità schiaccianti sulla base delle quali emettere risoluzioni».

E al testo di Bruxelles che ricordava i «1700 casi» di persone scomparse «per mano delle forze di sicurezza statali nel 2015», il ministero di Giustizia di Al Sisi risponde che «le autorità del Cairo hanno dimostrato che nella stragrande maggioranza si tratta di imputati arrestati in merito a casi precisi e documentati e non di sparizioni forzate. L’impegno del governo egiziano nell’ambito del rispetto dei diritti umani e delle libertà non è mai venuto meno e la tortura è un crimine sancito in modo chiaro e senza dubbi nella costituzione egiziana». Il governo del Cairo, conclude la nota, avrebbe auspicato «una risoluzione più equilibrata che proteggesse e sostenesse le relazioni euro-egiziane e non che deteriorasse o mettesse in dubbio la loro solidità». Ancora più dura è la reazione dei deputati cairoti che considerano la risoluzione europea «un’intromissione» negli affari interni dell’Egitto.

Si muoveranno in questo clima, lunedì, gli inquirenti italiani convinti che Regeni sia stato ucciso da «torturatori addestrati». Su di loro ricade la scelta di chi, come ha detto ieri Massimo D’Alema intervenendo al seminario di Sinistra Italiana, «ha salutato il colpo di Stato in Egitto come una cosa bellissima, abbracciando Al-Sisi e facendolo nostro migliore amico in Medio Oriente. Difendere le dittature e pensare di esportare, magari con la guerra, il modello occidentale di democrazia non ha funzionato. Le dittature non sono una garanzia di stabilità». «Ora – ha concluso l’ex premier – bisognerebbe spiegarlo alla famiglia di Giulio Regeni».