La sera prima dello «scambio» di prigionieri – inizialmente previsto per giovedì – ho perso ore davanti alla tivù, soprattutto per ascoltare il «grande premier» Netanyahu, e i ministri Gallant e Gantz, probabile «grande speranza» se il governo cadesse, con la fine della guerra. Molto soddisfatti di tutto, i nostri leader ci hanno spiegato che sta iniziando un mondo migliore. Ma, come al solito, è stato un susseguirsi di slogan, menzogne e scempiaggini.
Poco dopo si è saputo che l’inizio di un mondo migliore era rimandato di un giorno, ieri alle 16.00. Mia sorella, una donna pratica, mi aveva chiesto: «Cosa diranno i religiosi se il fatto inizia in ritardo e cosa succederà sabato?». Non conosco la risposta e consiglio ai lettori interessati di seguire vari canali di informazione. Tutto è possibile, compresa una possibile reazione violenta delle forze israeliane.

L’ATMOSFERA GENERALE in Israele è molto difficile da descrivere. Al di fuori dell’esercito – che pure ha dimostrato di non essere perfettamente efficiente – tutto sembra non funzionare. Se qualcosa funziona, è la «società civile». Anche questo è problematico, perché si tratta di gruppi molto attivi ma identificati come il «nemico», la «sinistra». Questo gruppo è molto difficile da descrivere in questa sede, ma è importante per capire come la coalizione di estrema destra, nazional-fascista-ultra-religiosa cerca di difendersi, visto che niente funziona; l’economia e vari settori del governo sono semiparalizzati, la popolarità dell’esecutivo è praticamente inesistente. Tuttavia la macchina del fango azionata da Netanyahu e dai suoi accoliti non solo funziona, ma potrebbe eventualmente aiutare in campagna elettorale.

PER LUNGHI MESI gli israeliani hanno sfilato, anche in massa, a favore dei cosiddetti valori democratici, manifestando una forte opposizione al governo di Netanyahu e alla sua coalizione di estrema destra estremista, unita agli ambienti ultrareligiosi. Si è trattato di uno sviluppo importante, che ha dimostrato la necessità di una forte coalizione di forze con un orientamento democratico moderato. Ma, con tutta evidenza, il processo ha funzionato solo finché non è stato toccato l’ambito della pace. Non può esistere una vera democrazia senza considerare che milioni di palestinesi sono soggetti a un’occupazione che li priva dei diritti politici e umani.

MA ORA ARRIVANO i primi ostaggi liberati . Mentre scriviamo queste righe pochi minuti prima delle 17 sembra confermata la notizia che i primi rilasciati (forse 13 israeliani e 11 thailandesi che lavoravano in Israele come operai, soprattutto in agricoltura) sono già arrivati in Egitto e sono stati accolti dagli egiziani.
Per ore e ore abbiamo assistito alla commovente attesa delle famiglie. Alcune aspettano bambini di meno di un anno, o di due, tre anni. I quali non troveranno più i loro genitori o altri parenti uccisi. Una parte dei cadaveri è stata identificata. Una soldatessa liquidata in una prigione di Hamas, forse un altro «ospedale», reale o inventato. Una donna tedesca fatta ballare nuda davanti alla folla entusiasta quando i primi gruppi di ostaggi sono arrivati a Gaza. Tutto questo rende meno esatto il numero dei prigionieri che oggi cominciano a tornare. Forse, a giudicare dalle versioni e dai commenti di alcuni «esperti», dobbiamo aspettarci diversi cadaveri, i quali si aggiungeranno alla somma delle vittime.

MENTRE PREPARO IL CAFFÈ penso ai bambini che vedo ogni giorno in televisione e alla posizione di non poche persone che si ritengono attente ai diritti umani e di sinistra perché sanno recitare formule diventate popolari nelle ultime settimane. Basta guardare ai Paesi bassi e all’Italia per iniziare a riflettere profondamente sui valori fondamentali che vogliamo portare avanti. Propongo a chiunque chieda il rispetto dei diritti umani, a chiunque sia interessato a un futuro di pace, di riflettere seriamente sulla tragica realtà di questi giorni. Sostenere Hamas non significa lottare per i diritti dei palestinesi. Si lasci questa posizione a chi, nei Paesi bassi o in Italia, fa tornare al potere i fascisti. Un ricordo molto personale. Nel 1987, quando scoppiò la prima Intifada, la mia compagna Roni – morta un anno fa – dedicò molto tempo a visite ai centri di detenzione della polizia israeliana a Gerusalemme e ai tribunali giudiziari. Parlare con i genitori e in alcuni casi con i giovani palestinesi fu la base per un rapporto sulle detenzioni, gli interrogatori, le torture. Un rapporto importante. Poco tempo dopo anche Stanley Cohen ne pubblicò uno ancora più ampio sulla tortura e sui tribunali, non solo rispetto ai minori.

È importante mobilitare tutte le forze possibili a favore della creazione di una vera pace israelo-palestinese, ma non è meno importante ricordare l’avvertimento di Ernesto Che Guevara più di 50 anni fa: è necessario distinguere tra terrore e lotta armata. L’ho scritto più volte, è necessario ricordarlo anche quando le vittime sono israeliane.

NEI PROSSIMI GIORNI continueremo a vedere immagini molto commoventi, magari di neonati o bambini israeliani liberati. La destra israeliana protesterà con veemenza per i bambini e i ragazzi palestinesi liberati. Alcuni di certo saranno tanto «terroristi» quanto i bambini e i giovani che Roni aveva incontrato nel 1987. Hamas e i fascisti «nostri» e Netanyahu vorranno andare avanti con la guerra, il sangue e la morte. Sempre più guerra.
Nelle prossime settimane tutto può esplodere. L’assassinio di diversi palestinesi in Cisgiordania, quasi dimenticata in questi giorni, può essere la «risposta orgogliosa» dell’estrema destra israeliana, con l’aiuto di alcune forze militari, al «disfattismo» di coloro che cercano di fermare una nuova e peggiore esplosione di violenza.