Il piano che Marchionne, con grande squillare di trombe, ha presentato ieri non è solo un documento sulle strategie del gruppo Fca, rappresenta anche un bilancio dei risultati ottenuti alla guida di una delle più controverse case dell’auto.
Shakespeare mette in bocca a Marcantonio, nel «Giulio Cesare», la frase: «il male che gli uomini fanno vive dopo di loro, il bene viene spesso sepolto con le loro ossa». Per non essere accusati di qualche colpa, quindi, ricorderemo oltre alle cattive, anche le cose buone che Marchionne ha fatto.
Ovviamente al manager va riconosciuto il merito di avere salvato un gruppo che era al collasso. Ma avrebbe potuto farlo in maniera molto diversa, evitando di trasformare i lavoratori in paria; tra l’altro, ha così anche contribuito a creare quel clima che aprirà la strada alle truppe di Renzi, con il jobs act e dintorni.
L’incontro con la Chrysler è poi stato un evento fortuito che Marchionne ha saputo trasformare in un successo.
Un merito, i cui vantaggi sono andati solo agli azionisti, è stato quello di aver spacchettato il gruppo, con la creazione di tre realtà distinte, Ferrari, Cnh e Fca, contribuendo a far passare il valore del tutto dai 6, 5 miliardi del 2004 ai 65 di oggi. Miracoli della finanza creativa, che rende molto di più che produrre buone auto sudando.
D’altro canto, sono presto cominciate ad arrivare, ogni volta tra cortei osannanti di giornalisti, politici, sindacalisti, le promesse fantasmagoriche. Così sono stati annunciati grandi investimenti che poi non si sono visti, la piena occupazione per il 2018, mentre invece siamo ancora di fronte a molta cassa integrazione, la produzione nel nostro paese di 1,4 milioni di vetture (siamo a 750.000), il lancio di 8 modelli per l’Alfa, con 400mila unità prodotte all’anno (siamo molto distanti).
Prima di oggi il gruppo appariva in un vicolo cieco: mentre tutte le case annunciavano grandi investimenti nelle vetture elettriche e in quelle autonome, la voce della Fca non si era sentita: questo è successo per miopia, per mancanza di soldi, per la volontà di vendere l’azienda? In ogni caso si parla da tempo di probabili acquirenti, americani e/o cinesi. Che tragedia, rispetto a quella che è stata la più importante storia industriale nazionale! Ma, come si sa, tout passe, tout casse e ai padroni prima o poi tout lasse.
Stanno intanto sbarcando nel settore i mostri di un altro pianeta che vogliono trasformare l’auto in un semplice telefonino con quattro ruote e ridurre le aziende del settore a semplici fornitori di hardware. Se la loro idea si avverasse, assisteremmo ad un suicidio di massa dei manager tedeschi.
Il piano di Marchionne parte dalla vecchia promessa dell’annullamento del debito netto finanziario, che appare cosa ormai fatta. Sul piano industriale, si prevede la concentrazione del gruppo sulle vetture premium, con il forte potenziamento dei marchi Jeep, Alfa, Maserati; si punta parallelamente sui modelli Suv e pick-up; il marchio Fiat diventa quasi un appestato e dovrebbero restare solo i modelli 500 e Panda, la cui produzione sarebbe spostata in Polonia e la cui vendita sarebbe limitata all’Europa e all’America Latina; si annuncia ancora, insieme all’addio al diesel, la riconversione verso le nuove tecnologie, finalmente con la promessa di rilevanti investimenti nell’auto elettrica e in quella a guida autonoma, mentre si conferma la prossima quotazione della Magneti Marelli; il piano fa poi intravedere la necessità di quelle che pudicamente chiama “alleanze” con altri produttori.
Di fronte a tali indicazioni i dubbi sono molti: per l’Italia la nuova strategia significa molti meno posti di lavoro con la produzione solo di vetture premium (dato anche che attualmente quasi i due terzi degli addetti lavorano sulla vetture piccole); e la Jeep riuscirà a raddoppiare i volumi? E i soldi per i nuovi modelli –ne serviranno tanti- da dove arriveranno? Li porteranno i cinesi? E la tardiva conversione all’elettrico è una decisione vera e con tempi rapidi (ma i posti a sedere sembrano già occupati) o il solito annuncio farsa?
In alternativa a Marchionne, alla Fiom si pensa a proposte che puntano a valorizzare l’importante know-how tecnologico che nel settore ha ancora oggi il nostro paese, rilanciandolo con gli investimenti e la ricerca e cercando di mantenere la produzione anche delle vetture piccole, avviando sul serio le nuove tecnologie. Sembra l’unica strategia ragionevole, sperando comunque che la parte meccanica delle auto non soccomba a quella digitale- Una scommessa con molti dubbi.