Quasi tutti i commentatori statunitensi evocano un caso: Bush v. Gore, quando la Corte suprema decise l’esito delle elezioni del 2000 – bloccando il riconteggio dei voti in Florida e inaugurando d’ufficio la disastrosa presidenza Bush jr. Ma oggi i giudici costituzionali sono chiamati a un compito ancora più carico di conseguenze potenzialmente drammatiche. Venerdì hanno accettato il ricorso dei legali di Donald Trump contro la decisione della Corte suprema del Colorado, che squalifica dalle elezioni l’ex presidente ai sensi della Sezione 3 del 14esimo Emendamento, emanato dopo la Guerra civile, che vieta di ricoprire uffici pubblici a chi ha partecipato a una insurrezione contro il governo degli Stati uniti.

LE QUESTIONI davanti ai nove togati, che verranno discusse l’otto febbraio – sono molte e – per usare un eufemismo – complesse: si trattò di insurrezione il 6 gennaio? La Sezione 3, che non menziona esplicitamente la carica del presidente, può applicarsi a Trump – che all’epoca del tentato golpe era ancora il Commander in Chief? Secondo i giudici della Corte suprema del Colorado la risposta è affermativa: «Il presidente Trump – hanno scritto nella loro decisione – ci chiede di stabilire che la Sezione 3 squalifica qualunque insorto infranga il giuramento, tranne il più potente di tutti».

Ma soprattutto la Corte suprema ha tra le mani un caso che rischia, qualunque sia la decisione, di stravolgere la democrazia americana e l’equilibrio fra i poteri. Sarebbe accettabile per una democrazia impedire la candidatura di quello che è evidentemente il candidato di uno dei due partiti che si alternano al potere? Al Washington Post, il docente di legge dell’università di Stanford Michael McConnell ha detto: «Non c’è possibilità che i giudici possano decidere il caso senza far sì che metà del Paese li ritenga politicamente schierati». Ma anche molti democratici vedono in una possibile squalifica di Trump un precedente pericoloso che aprirebbe le porte alla persecuzione giudiziaria degli avversari politici. Non a caso, la Sezione 3 stabilisce che solo il Congresso eletto dal popolo americano possa annullare una squalifica ai sensi del 14esimo emendamento. Una decisione politica, non giudiziaria.

NELLA CORTE suprema notoriamente iperconservatrice siedono ben tre giudici nominati da Trump. Ma questo non vuol dire che lo sostengano in automatico: in molti dei casi presentati dall’ex presidente alla Corte per invalidare i risultati delle elezioni del 2020 o fermare i procedimenti penali contro di lui hanno votato contro le sue richieste. Solo due giudici, i più reazionari, nominati da altri presidenti repubblicani gli hanno sempre accordato il proprio voto favorevole: Samuel Alito (autore della sentenza che ha terminato il diritto all’aborto) e Clarence Thomas, a cui è stato chiesto – inutilmente – di ricusarsi da questo caso perché la moglie Ginni ha partecipato attivamente alle trame per impedire il passaggio dei poteri da Trump a Biden. La decisione di Trump v. Anderson è attesa prima del 5 marzo: il Super Tuesday quando anche il Colorado voterà alle primarie repubblicane. Da essa dipenderà la sorte delle altre cause intentate alla candidatura di Trump attraverso il 14esimo emendamento, fra cui quella del Maine dove pure Trump è stato squalificato come candidato.

LA CORTE SUPREMA dovrà a breve decidere anche un altro caso che avrà sicuramente ripercussioni sul processo penale contro l’ex presidente per i fatti del 6 gennaio 2021. In Fischer v. United States le si chiede infatti di stabilire se il governo ha l’autorità di emanare incriminazioni per ostruzione di un procedimento ufficiale contro i rivoltosi che hanno dato l’assalto al Campidoglio.
Infine, ai giudici arriverà senz’altro un caso attualmente al vaglio di una corte federale di Washington: è Trump immune dalle accuse penali per il tentato golpe in quanto all’epoca era il presidente degli Stati uniti?