La Woche der Kritik è come un isola di cinefilia nel quartiere berlinese di Hockersche Market. Lontana fisicamente dalle gelide architetture della Postdamer Plazt, distante spiritualmente dallo spirito consumista del festival internazionale, della sua competizione, del suo pletorico programma, si tratta di una selezione spartana che si rivolge soprattutto al pubblico locale. Ogni sera per una settimana, il principio è quello del vecchio «double bill», il doppio spettacolo delle sale popolari d’una volta, seguito da un dibattito in cui, insieme al pubblico, si attavolano autori, critici, produttori e programmatori. Nelle ultime edizioni, una parte della programmazione della Woche si era imbastardita, cedendo un po’ del suo spirito radicale, appiattendosi sulle scelte di alcuni festival di riferimento (in particolare Locarno). Un errore che il collettivo dei programmatori, recentemente rinnovato, ha corretto; l’ultima edizione ritrova l’orientamento che aveva definito le proiezioni serali allo storico cinema Höfe kino: il cinema sperimentale e non conforme, e qualche volta anche difforme.

IL FILM che ci ha colpito di più (non solo della Woche, ma di tutta la nostra settimana berlinese) non è però né strano né mostruoso, anche se si tratta per certo di un’opera assolutamente unica. Si chiama Le Rêve et la radio (il sogno e la radio). Lo hanno auto-prodotto due cineasti del Quebec (Rénaud Després-Larose e Ana Tapia Rousiouk), coppia nella vita e nel film, con la complicità di un’amica (Généviève Akerman) che, oltre a recitare, ha partecipato alla sceneggiatura.
Tutto comincia su una linea del métro a Montreal, dove Béatrice (Akerman) si imbatte spesso in Raoul (Etienne Pilon, il solo attore professionista del film). Un giorno questo perde il telefono e Béatrice lo recupera. Lei si consulta allora con i suoi due amici Constance (Tapia Rousiouk) ed Eugène (Després-Larose) sul da farsi; dopo lunghe discussioni, i tre decidono di inviare Ana ad incontrare Raoul, che si rivela essere il leader di un gruppo rivoluzionario situazionista… All’origine del film c’è una sceneggiatura piuttosto semplice di un’ottantina di pagine che è venuta crescendo a dismisura durante la lavorazione (che in tutto a richiesto ben cinque anni). Ogni film documenta in un qualche modo la propria fabbricazione. Nel caso de Le Rêve et la radio non c’è quasi differenza tra il romanzo del film e quello del suo making off. Non solo l’avventura della produzione è continuamente riverberata nella storia (una delle scene più belle è quella in cui, ricevuto un improvviso dono, la coppia si mette a tavolino per pianificare la loro esistenza futura). Tutto l’intreccio, anche nei dettagli, ricorre a quel materialismo del quotidiano di cui era maestra la Nouvelle vague: stiamo a letto o andiamo a lavorare? Quanto ci costa non andarci? E se lavoriamo quanto ci resta per stare insieme, discutere, scrivere? Nell’insieme, questi elementi di pura esistenza irradiano la materia del film e danno alla finzione la sua giustezza.

LA DOMANDA è come abbiano fatto Renaud, Ana e Généviève a non scoraggiarsi e a portare a termine un progetto così lungo senza produttore, senza finanziamenti. Nessuno ha il coraggio di porla (i dibattiti alla Woche partono da questioni molto più intellettuali), ma Généviève a incontro quasi finito si alza e dà la risposta: «è stato il gusto di stare insieme». Insieme tra di loro. Ma anche insieme con alcuni cineasti della Nouvelle Vague. Non tutti, non a caso, due in particolare: Jean-Luc Godard (lato «Radio»), Jean Eustache (lato «Rêve»).
La cosa stupefacente ovviamente non è tanto che Godard e Eustache abbiano degli eredi. Ancora meno che tre giovani « cinefigli » del quebec abbiamo sognato di essere Jean-Pierre Leaud, Bernadette Lafont e Françoise Lebrun. Alzi la mano chi non ha sognato quel sogno. Ma che il loro film sia riuscito ad essere, nonostante il peso dell’eredità, un’opera che ha la stessa freschezza, la stessa libertà, la stessa purezza de La Maman et la putain. La domanda ovviamente è cosa faranno dopo. Cosa si fa dopo un film in cui si è riversata l’esperienza di cinque anni di vita ? Qualunque cosa sia, saremo là per vedere.