Dopo il ceffone e le lacrime, un altro colpo di teatro: Will Smith si dimette dall’Academy of Motion Picture Art and Science, definendo il suo comportamento durante la serata degli Oscar «scioccante, doloroso e inscusabile». Le dimissioni del vincitore della statuetta per la miglior interpretazione maschile in King Richard arrivano due giorni dopo l’annuncio che l’Academy aveva iniziato un procedimento disciplinare che, alla fine, avrebbe comunque potuto portare all’espulsione della star dei Men in Black e dei Bad Boys. Che Smith abbia o meno giocato d’anticipo, per evitare l’umiliazione di essere buttato fuori è tutto sommato abbastanza irrilevante.

L’intera faccenda si gioca infatti sul piano della performance – un piano su cui Chris Rock (che domenica sera ha continuato praticamente imperterrito la sua presentazione del miglior documentario, e da allora non ha quasi rilasciato dichiarazioni) rappresenta la vecchia scuola, quella di «the show must go on» – una tradizione che, più o meno, rispetta la linea di demarcazione tra palcoscenico e la platea. Mentre Smith, al polo opposto, è il contemporaneo della reality Tv, in cui quella linea è completamente infranta e tutto si consuma in pubblico, quindi perché non dare in escandescenze in mondovisione. D’altra parte, come nota un lungo articolo uscito ieri sul «New York Times», il reality per Smith è un brand di famiglia, con un giro d’affari che include l’ autobiografia/confessionale uscita nel 2021, dove l’attore ci mette a parte di una sindrome Jeckyll/Hyde tra la sua metà mite, Fluffy, e quella aggressiva, The General; e un popolare show su Facebook Live, Red Table Talk, in cui Will, sua moglie Jada, la figlia Willow e persino la suocera, condividono un po’ di tutto, dalle routine di fitness alle avventure extraconiugali. In stile reality, infatti, anche le dichiarazioni con le quali il resto del clan Smith ha commentato l’affaire. «È così che si fa da noi», ha postato la «testa calda» Jaden. Mentre Jada (che a vedere il girato della cerimonia parrebbe un po’ l’istigatrice della scenata), preferisce «time for healing – è tempo di guarigione», dignitosamente New Age. Considerando che Smith è stato pagato quaranta milioni di dollari per King Richard, e che l’azienda di famiglia è stata recentemente valutata seicento, uno non riesce a dispiacersi più di tanto se – come si chiede il NYTimes – il ceffone ha danneggiato «il brand».

Dispiace magari che ci venga ricordato ancora una volta che una delle star più pagate e amate del mondo non è migliore, o più originale, di noi. Un tempo, proteggersi, e proteggerci, da queste banalità era parte dell’arte di Hollywood. Tra la «vecchia scuola» e (più sbilanciata in questa direzione) la trash Tv, in un garbuglio di gaffe, recriminazioni, zoom segreti, non detti e imbarazzo inguardabili, si dimena l’Academy. E per quel brand…