Nella giornata dei tentativi di portare a una de-escalation della crisi ucraina, a Mosca si è svolto un incontro tra Vladimir Putin e il suo ministro degli esteri Sergey Lavrov. Se Putin ha ribadito che l’espansione a est della Nato è «infinita» e «pericolosa», il ministro degli esteri ha tenuto aperta una possibilità di mediazione. Secondo quanto riportato dalle agenzie di stampa russe, infatti, per Lavrov ci sarebbe ancora «la possibilità di raggiungere un consenso con i partner occidentali sulle questioni legate alle garanzie di sicurezza» di Mosca. «Noi – ha spiegato Lavrov – abbiamo ripetutamente messo in guardia sull’inammissibilità di discussioni interminabili su questioni che devono essere risolte oggi. Non credo che le nostre possibilità siano state esaurite, ma, naturalmente, non dovrebbero durare all’infinito. Tuttavia, suggerirei di continuare questi sforzi in questa fase».

LAVROV HA ANCHE SPECIFICATO che contrariamente alla prima proposta negoziale americana, ritenuta insufficiente da Mosca, la seconda «prevede anche misure abbastanza specifiche per quanto riguarda la soluzione dei problemi dei missili terrestri intermedi e a corto raggio e proposte specifiche per tutta una serie di misure per ridurre i rischi militari».

Come risposta, proprio mentre il ministro della Difesa russo Sergei Shoigu annunciava che «alcune esercitazioni militari sono terminate, altre sono vicine alla fine», un funzionario del Dipartimento di Stato americano confidava alla Tass che gli Usa rimangono aperti a un nuovo incontro con le controparti russe: «Stiamo lavorando attivamente per raggiungere una soluzione diplomatica e rimaniamo impegnati con il governo russo. Sosteniamo fermamente gli sforzi sinceri per progredire nell’attuazione dell’accordo di Minsk, ma per essere chiari, se la Russia rispettasse i suoi impegni ritirando le sue forze dall’Ucraina orientale sarebbe un buon inizio».

SITUAZIONE che pare dunque rasserenarsi – Lavrov a margine del suo incontro con Putin, ha anche confermato l’incontro, sempre per mercoledì, con il ministro degli esteri italiano Di Maio, che oggi sarà invece a Kiev – ma sulla quale incombe l’attività della Duma russa. Ieri il Comitato della Duma per la Comunità degli Stati indipendenti ha confermato che oggi la Camera bassa esaminerà le due risoluzioni sul riconoscimento delle autoproclamate repubbliche popolari di Donetsk e Luhansk nel Donbass. La prima bozza è destinata al presidente russo Putin, la seconda al ministero degli Esteri, per velocizzare la procedura di riconoscimento nell’ambito degli accordi di Minsk.

DOPO L’ESAME sarà mercoledì il giorno dell’eventuale voto, a meno che le ultime dinamiche diplomatiche non cambino le carte in tavola. Se così non fosse sarà quel voto, probabilmente, a riportare la situazione in un crinale rischioso. Del resto le notizie arrivate domenica e confermate ieri, di una parziale fuga di membri dell’Osce (Organisation for Security and Cooperation in Europe) proprio dal Donbass non invitano all’ottimismo. Ieri la missione di monitoraggio dell’Osce in Ucraina ha confermato che alcuni Stati hanno ritirato i loro osservatori, specificando che «continuerà ad attuare il mandato approvato dall’Osce in dieci città in Ucraina». Domenica Ria Novosti, aveva riportato (grazie a fonti di Donetsk) che membri del personale dell’Osce di Stati Uniti, Regno Unito e Danimarca avevano lasciato la missione speciale. E oggi il presidente di turno dell’Osce (il polacco Zbigniew Rau) sarà a Mosca per «rafforzare la collaborazione Osce-Russia, inclusi gli sforzi verso la stabilizzazione della situazione di sicurezza e la mitigazione delle tensioni in area Osce».

SULLO SFONDO c’è anche una polemica tutta americana, sollevata dal New York Times che si è chiesto come mai Biden «a più di un anno dall’inizio della sua presidenza, non ha nominato un ambasciatore a Kiev» (ieri Washington ha spostato l’ambasciata a Leopoli e ha nuovamente fatto sapere che l’attacco russo sarebbe imminente, nonostante la giornata diplomatica avesse dimostrato un lento, cauto, passo avanti).

Secondo il quotidiano americano «né l’amministrazione Biden né il governo ucraino stanno fornendo una chiara spiegazione per un ritardo che secondo i diplomatici di carriera sarebbe sconcertante e imperdonabile anche in tempi normali». Figurarsi oggi.