Renzi ha reagito con il consueto tono sprezzante alla giusta decisione della minoranza Pd di non apporre le proprie firme alla richiesta di referendum sulla riforma costituzionale che è, per definizione, istituto concepito dal Costituente quale strumento cui semmai possano fare ricorso le minoranze sconfitte in parlamento. Non la maggioranza che l’ha votata. Evidentemente, il segretario-premier sa che si può permettere tale baldanza.

Ho trovato lucida e convincente la riflessione di Antonio Floridia dall’eloquente titolo «L’inutile attesa della minoranza Pd». Trattasi di un punto di vista in gran parte convergente con l’opinione che, da tempo, inascoltato, anche su queste pagine, vado sostenendo. Un’opinione che conclude con l’idea di una «separazione consensuale» tra l’anima renziana moderata e centrista del Pd e la minoranza interna di sinistra. Per poi, in prospettiva, se ve ne saranno le condizioni, siglare semmai un’alleanza di centro-sinistra con il trattino, al modo del centro-sinistra storico, su un programma di governo negoziato ispirato a un vero e ambizioso riformismo. Ove la cifra della sinistra abbia finalmente qualche peso. Ci torno su, riprendendo a modo mio l’analisi di Floridia.

Ho stima degli esponenti della minoranza Pd. Come non distinguerli dalla legione di politici saliti sul carro renziano attraverso disinvolte giravolte? Ma è difficile negare la loro inefficacia e una dose di velleitarismo. Con il tempo si logora la credibilità di chi sistematicamente non solo non ottiene ciò che chiede, ma, di più, pateticamente invoca cose che sa benissimo che non avrà perché già alle spalle. Partite chiuse. Da ultimo: il voto dato a una riforma costituzionale (non condivisa e chiusa a tutti gli effetti) invocandone la correzione tecnicamente impossibile e alla condizione di una revisione dell’Italicum che Renzi, in tempo reale e a brutto muso, ha ribadito che non si farà.

Di nuovo ha ragione Floridia nel rimarcare il nesso – un circolo vizioso – tra sterilità della minoranza interna Pd e deriva minoritaria di Sinistra Italiana. L’ostinata permanenza dentro il Pd della sua minoranza (con il mantra bersaniano «scissione mai» che incoraggia Renzi a maramaldeggiare sapendo di non correre rischi) e la sua conclamata subalternità reiterano e accentuano il minoritarismo e il deficit di ambizione delle formazioni a sinistra del PD. Le due cose si tengono e si alimentano reciprocamente.

Così pure convengo sulla tesi della sottovalutazione, da parte della sinistra Pd, del vincolo rappresentato dalla forma-partito Pd. Che lo rende non contendibile. Invocare il congresso in un partito il cui statuto lo risolve sostanzialmente nelle primarie aperte per la leadership. Farlo non disponendo di candidature competitive. Ignorare banalmente il calendario che situerebbe tale contesa a ridosso delle elezioni politiche, cioè in un tempo che manifestamente inibisce una sfida aperta al premier del proprio governo che si appresta a chiedere il voto agli italiani. Sono tutte ingenuità e contraddizioni che appunto rivelano un deficit di realismo e di visione. Un limite cui si aggiungono le risibili divisioni interne alla stessa, debolissima minoranza e anche qualche suo cedimento a istinti consociativi. L’opposto di una limpida e inequivoca separazione delle responsabilità esecutive dalla maggioranza che regge il partito. Segnalo ai distratti che, formalmente, il Pd è retto da una gestione unitaria, ove la minoranza è incredibilmente presente persino nella segreteria, la quale, come non bastasse, non si riunisce mai.

Ancora: la rilevanza, di nuovo negletta, del fattore tempo. Floridia fa notare che già larga parte della virtuale base di consenso (iscritti ed elettori) della minoranza Pd ha abbandonato o sta abbandonando il partito e persino la politica. Uno «scisma sommerso» difficilmente reversibile e che fa presagire un esito scontato e infausto in una contesa «congressuale». Il fattore tempo rileva anche nell’ipotesi di un eventuale «separazione consensuale» con alleanza a valle. Forse siamo già oltre il tempo massimo. Il tempo necessario a verificare se vi fossero poi le condizioni per un’alleanza politica e programmatica tra soggetti distinti.

Giustamente si dà rilievo alla legge elettorale. Come notavo, Renzi ha già chiuso a ogni ipotesi di correggerla introducendo il premio alla coalizione. Come non comprendere che, se davvero lo si vuole ottenere, il solo modo è quello di costituirsi come soggetto distinto che plausibilmente miri a un consenso a due cifre, così da costringere Renzi – sensibile ai rapporti di forza – a rimettere mano all’Italicum, pena condannarsi a sicura sconfitta?

Ai miei occhi resta un mistero la ragione per la quale, almeno a modo di ipotesi o anche solo come arma tattica, da parte della minoranza Pd, ci si rifiuti persino di considerare tale soluzione per estenuarsi in una stanca e lamentosa protesta che logora chi la fa.

* deputato Pd