Matteo Lepore, sindaco di Bologna. L’autonomia differenziata corre in Parlamento: la destra va avanti anche aggirando i regolamenti e facendo ripetere i voti.

Vedo un brutto andazzo, sull’autonomia abbiamo visto lo sfregio delle più elementari procedure democratiche, il succo è che questa maggioranza pensa di fare quello che vuole, in particolare Fratelli d’Italia: questa riforma è l’opposto di quello che hanno sempre predicato in tema di unità nazionale, ma pur di ottenere il premierato sono disposti a tutto. C’è la volontà di smontare la Costituzione pezzo a pezzo. Si avverte una cappa in questo paese, la volontà ci creare un clima di sopraffazione: lo vediamo nella tv pubblica, sui sociale, nelle piazze, dove basta poco per arrivare ai manganelli: da tempo non vedevo un paese così incandescente.

Vedi segnali di reazione?

C’è una rabbia sociale che sta montando, e la risposta di questa destra non è il dialogo, ma il muro ideologico e una polarizzazione che crescerà in vita delle europee. C’è una deriva tipica delle destre estreme europee e americane, da Orban a Trump: condividono le stesse parole d’ordine, c’è una trama nera assai ben leggibile. Non siamo di fronte a dei sinceri democratici.

La sua è una accusa pesante, soprattutto da parte di un sindaco.

Ahimè a Bologna e in Emilia Romagna in vari momenti storici abbiamo conosciuto la vera natura della destra italiana. Anche adesso si individuano nemici, si spengono le voci critiche, parlerei di olio di ricino 2.0. Non sono ancora arrivati ai livelli di Trump e Orban, ma la direzione che vogliono percorrere è quella. L’idea che guida il partito della premier è quella del partito che conquista lo Stato e crea egemonia culturale. Sanno che questa finestra di opportunità durerà poco e tentano di arraffare tutto il possibile. La recente sfilata dei manager di Stato con la maglietta di Fdi è una scena da repubblica delle banane.

In che senso durerà poco?

Le riforme che stanno portando avanti in tutta fretta hanno l’obiettivo di blindare questo assetto di potere prima che cambi la congiuntura internazionale che obiettivamente favorisce questo governo: in questo momento né Ue né Usa possono permettersi un’Italia senza guida. Ma dopo le europee, quando la verità dei conti verrà a galla e arriverà una manovra lacrime e sangue, la storiella della “donna del popolo” cadrà improvvisamente.

Da un lato lei denuncia un tentativo di regime, dall’altro una premier fragile. Non è una contraddizione?

Il disegno è quello dei pieni poteri, ma non è scontato che venga compiuto: io penso che ci sia un’Italia pronta a reagire e a bocciare il premierato con il referendum. Già il voto per le europee sarà un passaggio decisivo per fermare questo tentativo.

Cosa accadrebbe se la riforma dell’autonomia diventasse legge?

Nascerebbe una forma di regionalismo che spezzerebbe il Paese annichilendo i Comuni. Se parliamo di sanità, ma anche di energia e politiche industriali, l’unico livello dove si possono fare delle scelte in grado di fermare lo strapotere del mercato è quello europeo. Per questo bisogna fare massa critica, non creare 21 piccoli stati. Lo dico chiaramente: neppure una regione forte come l’Emilia -Romagna sarebbe in grado di reggere da sola. Il nostro sistema funziona se siamo dentro un ingranaggio nazionale ed europeo. Andare in senso opposto, offrire l’illusione che ogni regione possa fare quello che vuole, è un suicidio politico: l’autonomia rischia di essere la nostra Brexit.

Riguarda anche la sanità?

Soprattutto la sanità. Con l’autonomia, nelle regioni più forti il risultato sarà la crescita delle assicurazioni sanitarie e degli investimenti privati, magari mascherati da filantropia. Il sistema sanitario pubblico andrà ancora più a scatafascio di quanto stiamo vedendo negli ultimi due anni.

Come valuta lo stato di salute del Pd e del centrosinistra?

Se sto ai fatti il Pd è pienamente in campo. Che piaccia o meno, l’alternativa alle destre passa da noi. Se il Pd andrà bene alle europee, rendendo più forte il gruppo socialista, impediremo alle destre nazionaliste di spaccare l’Ue e incideremo sulla nuova commissione. Questo è l’obiettivo politico, le piccole polemiche sul nome della leader nel simbolo non mi appassionano. Una Ue divisa divisa sarebbe politicamente debole, e un regalo per Putin.

Nelle liste avete inserito pacifisti come Marco Tarquinio e Cecilia Strada che sono contrari a inviare armi all’Ucraina. Non è in contraddizione con la vostra linea?

Le armi sono la voce degli Stati, la pace è quella dei popoli. Una sinistra incapace di ascoltare la voce del mondo pacifista è lontana dalle persone e il Pd invece ha bisogno di questa voce così presente nel mondo cattolico, nelle liste e nel partito. Aiuta Putin chi, come Salvini, invoca più stati nazionali e meno Europa, non chi parla di pace e diplomazia. L’incubo dello zar è una Ue politicamente coesa.

Come valuta la segreteria Schlein dopo un anno?

Il mio giudizio è positivo, il Pd è ritornato nelle piazze e nei luoghi del lavoro e dell’associazionismo. In vista della costruzione dell’alternativa sarà molto importante il risultato delle europee.

La segretaria rischia il posto?

Se il Pd andasse male avremmo davanti a noi problemi assai rilevanti, che non si risolverebbero cambiano ancora la guida. La posta in gioco è assai più alta, e chiede a tutti noi il massimo impegno.