L’omofobia, le big tech, le grandi compagnie telefoniche, il pesante silenzio di chi forse per troppo tempo si è limitato ad osservare. L’interesse – l’interesse economico, dollari, insomma – dei colossi per quelle campagne omofobe. Quelle grandi compagnie che alla fine hanno vinto.

Sono tante le denunce sulle violenze e le discriminazioni on line. Numeri, cifre, statistiche. Stavolta però la storia ha nomi, cognomi. Viene dall’America, si parla di singole persone.

Una sopra alle altre: Gigi Sohn.

Professoressa, ricercatrice, militante a difesa dei diritti digitali, dei diritti sociali, sposata con una sua coetanea, con una figlia, esattamente ad un anno e mezzo dalla nomina di Biden è stata costretta a rinunciare al suo incarico.

La Casa Bianca l’aveva indicata alla FCC, alla Federal Communications Commission, che ha – avrebbe – molto potere su tutto ciò che riguarda la regolamentazione della rete negli States. Avrebbe, condizionale, perché da allora la FCC – caso mai avvenuto nella storia – conta ancora solo quattro membri sui cinque previsti, due democratici e due repubblicani.

Il suo incarico, che avrebbe consentito finalmente di avere una maggioranza, doveva essere però ratificato da un voto del Senato, come prevede la legge. Ma la candidata progressista non ce l’ha fatta. Voto prorogato, dall’ottobre del 2021. Sempre rinviato, fino alla amara sua rinuncia, resa pubblica in queste ore.

Gigi Sohn dunque si ritira.

Lo fa con parole durissime: “È un giorno triste per il nostro paese e la nostra democrazia quando le industrie dominanti, con l’assistenza di denaro oscuro illimitato, possono scegliere i propri regolatori”. Si ritira, vittima anche di una campagna omofoba disgustosa che ha messo in imbarazzo addirittura alcuni – pochi – esponenti repubblicani.

Una campagna ben finanziata. Pagata proprio “da chi vorrebbe che i controllati decidessero chi li deve controllare”, per usare ancora le parole della diretta interessata, all’ultima audizione alla Commissione Commercio del Senato. Riunione inutile, come le altre. Inutile – va detto – anche per i tanti “dubbi” – qualcuno dice “sospetti dubbi” – che da tempo si sono insinuati fra le fila dei democratici, poco disposti a combattere questa battaglia.

Gigi Sohn
È un giorno triste per il nostro paese e la nostra democrazia quando le industrie dominanti, con l’assistenza di denaro oscuro illimitato, possono scegliere i propri regolatori

Ci sono tante cose, allora, in questa storia. Che vanno raccontate. Con un piccolo salto all’indietro, all’epoca di Trump. Quando l’allora presidente impose alla guida della FCC, nientemeno che Ajit Pai. Un passato alla direzione di colossi del settore, tante accuse di corruzione, ha segnato il suo mandato con l’obiettivo di cancellare la “neutralità della rete”. Quel principio cardine – anche nella legislazione americana – per la quale tutti avrebbero diritto allo stesso servizio e le big tech non potrebbero selezionare la clientela, offrendo più connessione a chi è in grado di pagare di più.

Con l’arrivo di Biden, le dimissioni di Pai, e alla scadenza di altri membri, la nomina di due figure legate ai democratici. Poi l’indicazione di Gigi Sohn. Da sempre schierata per la neutralità della rete.

Ma oltre a questo, la studiosa ha un curriculum sterminato alle spalle. Fatto di cattedre nelle più importanti università americane ma fatto anche di lavoro nella stessa Fcc, all’epoca di Obama.

Ha promosso inchieste, leggi, normative contro le disuguaglianze digitali. Ha chiesto strumenti perché tutti – a cominciare dalle famiglie disagiate – potessero usufruire delle connessioni veloci. Ha chiesto, s’è detto, l’immediato ripristino della neutralità della rete.

Battaglie che l’hanno portata ad essere eletta nel consiglio dell’Electronic Frontier Foundation, la EFF, forse la più prestigiosa e famosa organizzazione mondiale per i diritti digitali, per la libertà di parola, per la difesa della privacy. Per capire: un’organizzazione invitata regolarmente – anche in questi giorni – dall’Onu per discutere su come democratizzare la rete. Un’organizzazione con tanti – anche qui, qualcuno dice anche troppi – legami istituzionali.

Ma proprio il suo ruolo dirigente nell’EFF ha dato lo spunto all’avvio della campagna contro di lei.

Perché? Perché cinque anni fa, la maggioranza trumpiana varò la legge SESTA/FOSTA. Acronimo complicatissimo che indica una norma che puniva – e piuttosto severamente – le pagine web che ospitavano qualsiasi cosa ammiccasse al sesso. I siti avrebbero dovuto controllare, “filtrare” qualsiasi elemento andasse on line, pena la chiusura. I risultati sono stati e sono disastrosi, soprattutto per le sex workers, costrette a tornare nelle strade, con un aumento vertiginoso delle violenze contro di loro. Una legge insomma, come ha scritto anche la Wikimedia Foundation, che non ha avuto alcun effetto nel limitare il traffico sessuale online, ha avuto come conseguenze solo quello di limitare il diritto di parola. Che non è servita a nulla, come scrive anche un rapporto pubblicato dallo stesso governo.

L’opposizione dell’EFF a quella legge – opposizione vale la pena ricordarlo, iniziata ben prima che Gigi Sohn entrasse nell’organizzazione – è stato il pretesto perché Fox News per prima, ma poi via via tutte le altre emittenti della destra cominciassero a definirla come una leader “senza morale, a favore della prostituzione”. Campagna che s’è fatta ancora più aggressiva. Arrivando ad accusarla di connivenza con la pedofilia.

Anche qui con un salto logico grottesco se non fosse violento. Perché la EFF si oppone, si sta opponendo ai tanti progetti per la limitazione della crittografia end to end. Quel sistema – usato, ancora per quanto tempo da WhatsApp?– che consente lo scambio di informazioni fra utenti, senza che il contenuto possa essere né visto, né letto, né memorizzato. Progetti di limitazione della crittografia che accumunano comunque le due sponde dell’Oceano, l’America e l’Europa.

L’ Electronic Frontier Foundation sostiene invece – com’è ovvio – che quel sistema protegge il diritto alla parola per tutti, protegge soprattutto le minoranze, chi è discriminato, chi è silenziato dai governi. Come sempre è accaduto, però, chi vuole abolire la segretezza delle comunicazioni dice di farlo in nome della lotta alla pedofilia. E a dare una mano a costoro, è scesa in campo anche il Fraternal Order of Police, ascoltatissimo, secondo il quale “con la crittografia non si possono svolgere le indagini su chi adesca i minori in rete”. Quindi anche la polizia non voleva quella candidata.

La voleva invece tutta la comunità che lavora sulla sicurezza informatica: “Sohn supporta la crittografia avanzata come unico modo per proteggere le comunicazioni digitali da attori malintenzionati e da governi repressivi”, per dirla con Berin Szóka, presidente di TechFreedom, un think tank che si batte per controllare lo strapotere delle big tech.

Hanno usato quegli argomenti, dunque, contro la candidata. Argomenti riecheggiati anche nelle dichiarazioni ufficiali, con l’ormai famosissimo senatore texano Ted Cruz, che l’ha definita “una delle candidature più compromesse eticamente che abbia mai visto durante il mio mandato”. E sono riecheggiati anche nelle ovattate aule delle commissioni del Campidoglio. Senza che la senatrice democratica Maria Cantwell, la presidente di quella per il commercio, spendesse una parola per condannare la campagna. E addirittura col senatore democratico Jacklyn Rosen che ha spiegato che lui non poteva restare insensibile davanti alle preoccupazioni delle forze dell’ordine.

Hanno usato questi strumenti, anche solo per rinviare, per prendere tempo. Perché c’è una scadenza, fra le altre.

A novembre di quest’anno dovrebbe entrare in vigore la nuova legge, “Infrastructure Investment and Jobs Act”. E’ sostanzialmente il piano per portare fibra e collegamenti veloci ovunque, anche in quelle parti degli States dove la connessione avviene ancora col vecchio “doppino telefonico”. Piano che Comcast, AT&T e le altre vorrebbero gestire in prima persona, senza tanti vincoli.

La FCC ha però deciso, ormai un anno fa, di avviare un’inchiesta sulle “discriminazioni digitali”. Inchiesta che sta facendo il punto su quali aree ma soprattutto a quali comunità dare la priorità negli investimenti. Per superare il gap tecnologico che così drammaticamente è stata pagato dai gruppi più disagiati durante la pandemia.

Il rapporto dovrebbe essere ultimato entro novembre, possibilmente molto prima, in modo da poter correggere l’”Infrastructure Investment”, se necessario. Ma il rapporto non può essere varato senza la nomina del quinto membro della commissione. Che era esattamente quello che volevano e vogliono i colossi del settore, che continuano a progettare la loro “banda larga”. Così le compagnie telefoniche si sono scoperte omofobe.

E così i democratici hanno perso l’ennesima occasione. Forse più pesante delle altre. Scrive Evan Greer, rocker, scrittore, giornalista, militante Lgbtq, esponente della piccola ma combattivissima organizzazione per i diritti digitali, Fight For The Future: “La destra ci sta dicendo quel che è: usano l’omofobia armata a sostegno dei potenti. Ma anche i leader democratici ci stanno dicendo chi sono. La loro codardia sarà pagata dalle comunità emarginate”.