Horror fin dalla prima scena “The Killing of a Sacred Deer” di Yorgos Lanthimos rende ogni personaggio parte di un sortilegio collettivo di un unico destino che ancora non si conosce ma si indovina non nato sotto una buona stella. Le dinamiche procedono in una gelida fissità che  tocca tutti i protagonisti nei loro ruoli: il chirurgo (Colin Farrell), la sua convenzionale moglie (Nicole Kidman) e i figli, tutti riuniti nel loro confortevole ambiente. Più una disturbante presenza bizzarra, quella del ragazzotto,  Martin che incontra più volte l’autorevole dottore. Un pusher? una marchetta? certo un corpo estraneo nel perfetto quadro borghese. Anche senza svelare la trama si può procedere schematicamente a scioglierne la struttura, una serie continua di dettagli disturbanti, fino all’imprevedibile circostanza.

Si sta parlando forse di stregoneria e allora ci si aspetta che il personaggio algido di Nicole Kidman vi si contrapponga con altrettanta potenza. La continua presenza di Mafrtin che si indovina un po’ alla volta avere misteriosamente nelle sue mani il destino di tutti, pone continui interrogativi: angelo stermiantore? destino? furia? castigo divino?

I personaggi avanzano lentamente verso il loro fato lungo corridoi ospedalieri da shock interrotti da notazioni che potrebbero far deviare il racconto verso accenti più comici,l’incastro di horror e humour sembra inestricabile, accompagnato dalla musica incombente.

È lo stile lampante di Lanthimos. «Soprattutto non fate niente» è il suo suggerimento agli attori e in particolare Colin Farrell lo prende alla lettera («Colin, bisogna che si capisca che è un film comico»,pare gli abbia spesso suggerito ).

«Ho usato spesso il travelling, e un modo di girare diverso da quello che ci si aspetta visto il contenuto: si doveva avere l’idea di qualcosa che osserva la scena».

Dall’alto ci dovrebbe essere uno sguardo divino, secondo le convenzioni occidentali, è forse quello che suggerisce  il titolo? (L’uccisione di un cervo sacro) Eppure nel film i riferimenti sono piuttosto profani, spietati, come in un mondo che abbia perso  riferimenti e dove non si troveranno risposte: «Parlo della giustizia, dei comportamenti e nel film è questo che volevo esplorare, vedere come la gente si pone di fronte alle scelte.

Nella mitologia greca il concetto di sacrificio si trova dappertutto, così come nella Bibbia. Abbiamo fatto emergere questioni radicate nella cultura occidentale fin dalle sue origini, lo si può vedere bene nell’Ifigenia di Euripide»

Ma qui gli dei non vengono a salvare la vittima sacrificale: «Non cerco di essere analitico, non so niente, è questo il senso del film, non ci sono risposte. Anch’io vado alla scoperta sul set. Cerco di lavorare in modo fisico, si gioca, ci si diverte. Meno riflessione e più divertimento. Passo tanto tempo con lo sceneggiatore, devo essere sicuro che la sceneggiatura funzioni alla perfezione, poi quando si gira ci sono tanti elementi inattesi che si presentano e mi dico: bene, è il destino, ma in ogni caso arrivo a destinazione e poi riparto per un’altra esplorazione».