«Mele, mele, comprate queste mele, un chilo otto shekel, due chili 14». Motti, con alle spalle un poster del leader storico della destra Menachem Begin, si sgola per attirare i passanti al suo banco della frutta. Alcuni osservano per qualche secondo mele verdi e rosse e vanno via. Una anziana esita poi compra. Motti con gesti rapidi infila le mele in un sacchetto e intasca le monete. Poi torna a lanciare il suo grido. Siamo a Mahane Yehuda, nel mercato popolare di Gerusalemme Ovest, la parte ebraica della città. Luogo mirzahi (sefardita) per eccellenza, da decenni è una roccaforte della destra e del Likud, il partito dell’ex premier Benyamin Netanyahu. Ma è anche il polso degli umori popolari durante le campagne elettorali. «Per la gente conta il costo della vita, non si vive più in questo paese» ci dice Motti spiegando che a Mahane Yehuda i prezzi sono più contenuti rispetto a quelli dei supermercati. Al banco accanto, dei formaggi, il proprietario Meir ascolta e annuisce. Poi interviene: «In questo paese si vota sempre, i politici litigano fra di loro e non risolvono nulla. Eppure, l’inflazione ci soffoca. Ho perduto parecchi clienti perché sono stato costretto ad aumentare i prezzi». Simili le considerazioni di altri negozianti e clienti.

A Mahane Yehuda l’economia è il tema dominante, in apparenza più della sicurezza che invece è stata al centro degli scontri tra i leader dei partiti durante la campagna elettorale durata mesi. Potrebbe rivelarsi un fattore decisivo nelle urne. Oggi 6,8 milioni di elettori israeliani tornano a votare per la quinta volta in 43 mesi. Anche questa volta potrebbe essere inutile. Nessuno dei due campi rivali, secondo gli ultimi sondaggi, appare in grado di arrivare ai 61 seggi sui 120 della Knesset, la soglia minima per formare una maggioranza. Netanyahu sa che è un referendum sulla sua persona. Desideroso di rivincita sui rivali di destra che l’hanno abbandonato dopo la sua incriminazione per corruzione e abuso di potere, si è legato anima e corpo all’estrema destra rappresentata dalla lista Sionismo religioso di Itamar Ben Gvir e Bezalel Smotrich, la formazione elettorale più in ascesa. L’alleanza strategica che il capo del Likud ha messo in piedi ha una solida base tra gli israeliani ebrei meno abbienti e gli abitanti delle città più piccole schierati contro palestinesi e migranti. Con poche migliaia di voti in più Netanyahu potrebbe arrivare ai 61 seggi ma ha grattato il fondo del barile e non ha più la spinta delle scorse settimane. Aver privilegiato i sentimenti antiarabi più profondi a scapito delle difficoltà economiche della popolazione si è dimostrato limitante.

Rispetto al Likud, il premier centrista Yair Lapid ha dato più peso all’economia – ha cercato e ottenuto l’accordo con il Libano sui giacimenti di gas sottomarini – guadagnando consensi oltre il «voto utile» per impedire il ritorno di Netanyahu al potere che mobilita gli elettori laici e dei grandi centri urbani. I sondaggi però assegnano alla sua coalizione non più di 56 seggi. Può solo sperare che la destra questa sera non abbia la maggioranza. In questo modo potrà ritentare l’operazione che 16 mesi fa lo portò, assieme al suo predecessore Naftali Bennett, a formare la maggioranza multicolore che ha mandato a casa Netanyahu dopo 12 anni al potere. Gli equilibri si sposteranno in base all’affluenza o al numero dei partiti che supereranno la soglia di sbarramento del 3,25%.

Così in un paese che proclama in una legge fondamentale di appartenere solo al popolo ebraico, i cittadini arabi (palestinesi), circa il 21% dell’elettorato, potrebbero fare la differenza. Se la loro affluenza sarà bassa, sotto il 50% Netanyahu potrebbe vincere. In caso contrario non raggiungerà il traguardo dei 61 seggi. Molto dipenderà dal risultato del partito Tajammo-Balad, dato dai sondaggi poco sotto la soglia di sbarramento. Può aiutarlo solo una maggiore partecipazione al voto nei centri abitati arabi. Non sorprende, scriveva ieri il portale d’informazione Walla che lo stesso Lapid sia andato a Nazareth, la città araba più grande, a sollecitare una affluenza più sostenuta. Le urne stasera si chiuderanno alle 21 italiane, un minuto dopo saranno diffusi gli exit poll.