«Il mio film vuole essere un campanello d’allarme» dice Ladj Ly alla conferenza stampa di presentazione del suo Les Miserables, in concorso al Festival e ambientato nella banlieue parigina dove il regista è nato e vive ancora: Montfermeil. «Ci sono cresciuto e ho deciso di restarci, nonostante tutte le difficoltà». Il progetto, racconta, è nato dieci anni fa quando filmando la polizia si è ritrovato a documentare un «abuso di potere» degli agenti nei confronti di un ragazzo, massacrato di botte durante l’arresto.

«SUL CASO è stata aperta un’inchiesta e noi abbiamo deciso di far circolare il video, poi ripreso dalla stampa e le tv, creando un caso». E da quell’ «incidente» è nato anche un cortometraggio di finzione – intitolato Les Misérables come il suo lavoro in concorso – che ha girato decine di Festival con grande successo: «Così ci siamo detti che era venuto il momento di realizzare un film».
Con Les Misérables, dice Ly, l’intenzione è anche mandare un messaggio al Presidente della Repubblica francese Macron: «Spero che lo veda, e se vorrà farlo proiettare all’Eliseo noi saremo felici di partecipare». Il campanello d’allarme riguarda infatti la voce delle banlieue che è rimasta inascoltata troppo a lungo: «È da vent’anni che continuiamo a dire che la situazione nei quartieri di periferia è insostenibile, specialmente per i più giovani per i quali l’istruzione è inadeguata, come tutte le altre istituzioni pubbliche. Ma ogni volta veniamo messi da parte, senza essere ascoltati». Oggi, continua il regista, la protesta in Francia ha una grande risonanza mediatica che si concentra sui gilet gialli: «Da sei mesi a questa parte con l’inizio delle manifestazioni dei gilet gialli sembra che l’opinione pubblica, i media, le istituzioni – e il mondo intero – scoprano per la prima volta lo scontento sociale, le flash-ball, la violenza della polizia francese. Ma nelle banlieue conosciamo e denunciamo da decenni le violenze della polizia, e la maggior parte di noi porta sul corpo le cicatrici delle flash-ball».

PER ELABORARE le parti dei poliziotti, racconta lo sceneggiatore Giordano Gederlini – che ha scritto la storia di Les Misérables insieme a Alexis Manenti e al regista – «Ho passato del tempo insieme a dei veri agenti, per indagare la prospettiva dello ‘schieramento opposto. E in particolare con un poliziotto cresciuto anche lui in una banlieue: volevo comprendere come potesse aver deciso di fare questo lavoro. Mi ha fatto capire che entrare nella polizia per lui era un modo di sopravvivere alla periferia, di emanciparsi da essa e in definitiva pure per fuggire».

IL FILM affronta anche l’identità degli abitanti delle banlieue parigine, che per tre quarti «sono francesi al cento per cento – dice Ly – a prescindere dalle loro origini africane o in altre parti del mondo». Un’identità che il regista ricorda di aver avvertito con orgoglio la prima volta in cui ha assistito alla vittoria della Francia ai mondiali di calcio, nel 1998. «È stato un momento di grande felicità nel quartiere: ci sentivamo francesi. Oggi invece abbiamo l’impressione che esistano diverse categorie di cittadini, sulla base della loro provenienza. Ma noi siamo francesi e basta».