In un mondo di Count, Duke e King lui era solo Prez, the President, il Presidente. Il migliore, ma senza bisogno di attribuirsi sangue blu. Il soprannome lo aveva coniato la sua migliore amica e una gemella artistica: Eleonora Fagan, meglio nota come Billie Holiday, poi per tutti «Lady Day».
Era stato uno scambio di favori. Billie era già «Lady» e Prez aveva l’abitudine di chiamare così tutti i musicisti, anche i maschi, proprio come l’immaginario sassofonista Dale Turner interpretato dal grande Dexter Gordon nel capolavoro di Tavernier ’Round Midnight di cui proprio Lester Young è, con alcuni tratti del pianista Bud Powell. Ma Lady Holiday non gli suonava bene e decise di scorciare: fu solo «Lady Day».

SI ERANO CONOSCIUTI nel gennaio 1937 in sala d’incisione, a New York. Billie era una ragazza molto bella di 22 anni, con un’infanzia difficilissima alle spalle, messa due anni prima sotto contratto per la Brunswick, etichetta della Columbia, da John Hammond. Uno che il talento lo sentiva a fiuto: decenni dopo avrebbe preso in scuderia lo sconosciuto Bob Dylan e, più tardi, l’altrettanto ignoto Bruce Springsteen. Con la sua voce di contralto, non potentissima ma estremamente originale e impareggiabile nella capacità di interpretare, di improvvisare e di trasformarsi quasi in uno strumento, Billie si era già fatta un nome nell’ambiente ma il successo in termini di vendite si faceva attendere. In quella seduta Billie incise uno dei suoi cavalli di battaglia, I Must Have That Man e trovò l’accompagnamento perfetto nel sax di Young, allora ventisettenne.

La madre di Billie era un’adolescente di Philadelphia, il padre, Clarence Holiday, un jazzista altrettanto giovane che aveva preso il volo poco dopo la nascita della figlia. Billie, che ne aveva assunto il cognome, lo avrebbe ritrovato nei club di New York, dove suonava nell’orchestra di Fletcher Anderson. Da Philadelphia Eleonora era passata a Baltimore, da una zia, prima di raggiungere nel 1929 con la madre Harlem, dove entrambe avevano iniziato a sbarcare il lunario prostituendosi e finendo anche in prigione per qualche mese.

Il nuovo amico, Lester, era invece nato vicino New Orleans in una famiglia dove suonavano un po’ tutti, nella band diretta da suo padre. Aveva lasciato il sud per sfuggire alle leggi non scritte ma inesorabili della segregazione razziale e a Kansas City era entrato nell’orchestra di Count Basie, nel 1933. Il sax era da pochissimo uno degli strumenti di punta del jazz. Lo aveva emancipato dalla subordinazione alla tromba Coleman Hawins e quasi tutti il suo stile stentoreo e possente. Non Prez. Il suo era un suono rilassato ed elegante, meno potente ma più geniale, fantasioso e creativo.

LA COMPETITIVITÀ tra musicisti era altissima, gli scontri diretti frequenti. Nella sua autobiografia Lady Sings the Blues, scritta nel 1956 con l’aiuto dello scrittore William Duffy, Billie ricorda il duello tra Chu Berry e Prez. Lester Young usava «il suo vecchio sassofono tenuto insieme con elastici e pezzi di cerotto». Nessuno scommetteva su di lui tranne l’amica e Benny Carter. Vinse Lester, pur non disponendo di un timbro altrettanto poderoso, e l’episodio tornò alla mente della cantante quando anche lei si trovò coinvolta, anni dopo, in una sfida diretta, stavolta contro la giovane ed emergente Sarah Vaughan.

PREZ E LADY DAY trovarono l’uno nell’altra molto più di un’anima gemella musicale. Andavano d’accordo. Condividevano la passione per la marijuana. Si divertivano insieme. Quando nell’albergo di Harlem in cui abitava si trovò faccia a faccia «con un talpone grosso come un cane», il Presidente chiese ospitalità in casa di Billie e di sua madre, che aveva ribattezzato «Duchessa». Per un po’ abitarono insieme, ma senza mai uscire dal perimetro dell’amicizia. È possibile, ma non certo, che Lester Young fosse omosessuale.

LO STORICO DEL JAZZ Ted Gioia lo considera la prima star androgina, fondatore della stirpe destinata a produrre Bowie e Prince. Era elegante, timido, ironico, immaginifico con le parole come con le note: buona parte dello slang che dalla scena jazz è poi dilagato ovunque lo si deve a lui. Senza saperlo lo citiamo tutti ogni volta che usiamo il termine Cool per indicare una cosa «fica» o di tendenza: prima che Prez ne capovolgesse il senso era un dispregiativo.

GLI ANNI PRIMA della guerra furono dorati per Billie e Lester. Suonavano insieme ogni volta che era possibile. All’inizio degli anni ’40, Lady Day raggiunse infine l’agognato successo e resta a tutt’oggi la più pura tra le grandi cantanti di jazz, forse la sola a non aver mai frequentato il pop o altri generi musicali. Le testimonianze li descrivono gioviali e allegri, lei estroversa, lui riservato, anche se in entrambi c’era in agguato una zona d’ombra. Billie aveva un debole per gli uomini sbagliati: ne sposò tre e fu maltrattata da tutti. Prez covava una tendenza alla depressione. Billie era permalosa e a tratti paranoica: quando immaginava insulti, spesso inesistenti, poteva essere rumorosa e violenta.
Nei primi anni ’40 Lady Day era passata dalla marijuana all’oppio, poi, temendo che il fumo dell’oppio danneggiasse la voce, alla siringa. La arrestarono la prima volta nel maggio ’47. Condannata a un anno e un giorno uscì dopo 10 mesi ma col divieto di suonare nei club newyorchesi che vendevano alcolici: un disastro. Il concerto del ritorno alla Carnegie Hall, poco dopo la scarcerazione, fu un trionfo ma nel gennaio 1949 era di nuovo in manette, stavolta a San Francisco.
A Lester le cose non erano andate meglio. Arruolato nel ’44 non gli avevano permesso, a differenza di quasi tutti i musicisti bianchi, di suonare con le band dell’esercito e gli avevano anzi vietato il sassofono. Poi lo avevano spedito di fronte alla Corte marziale e di lì in un carcere miliare per detenzione di marijuana e alcol. In galera lo avevano tormentato in ogni modo, soprattutto dopo aver scoperto che conviveva con una donna bianca. Uscì da quel carcere militare spezzato.

I DUE AMICI si erano persi di vista. I rapporti peggiorarono, diventarono per un po’ pessimi, all’inizio dei ’50 si evitarono per tre anni. Il sassofonista era alcolizzato e spesso, ma decisamente non sempre, anche la sua musica ne risentiva. La cantante era invecchiata precocemente, provata dall’alcol, dalla tossicodipendenza, dalle delusioni amorose, con la voce diventata rauca e fragile. Nel 1954 si ritrovarono a Londra e l’incanto riprese. Tornarono amici, suonarono insieme ma senza riuscire, nessuno dei due, a sottrarsi al vortice della disperazione, della solitudine e dell’autodistruzione.
Nel marzo 1959 Lester Young era a Parigi. Gli chiesero di Billie e lui rispose laconico: «È sempre la mia lady». Malato di cirrosi, beveva moltissimo, quasi non mangiava più. Il malore fatale lo colse in aereo, mentre tornava a New York, dove morì poche ore dopo l’arrivo, il 15 marzo 1959. «Sarò la prossima», commentò profetica Lady Day. Morì infatti quattro mesi dopo, il 17 luglio, in un letto d’ospedale piantonato dalla polizia che aveva trovato, nascosta vicino al capezzale, una busta d’eroina.
Tre anni prima, nell’autobiografia, aveva descritto il segreto del talento di Prez, che era anche il suo, il tratto comune della loro musica: «Tutti dobbiamo essere differenti. Non si può copiare un altro e pretendere di arrivare a qualcosa. Come non ci sono al mondo due persone uguali, così deve essere anche per la musica. Sennò non è musica».

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