A poco meno di tre anni dal colpo di stato del 2021, ormai traballa la giunta golpista del Myanmar guidata – chissà ancora per quanto – dal generale Min Aung Hlaing.

Dopo la sconfitta militare contro i ribelli a Laukkai, nel settentrionale stato Shan, all’inizio di gennaio, fonti dell’opposizione hanno detto che tre dei generali che si erano arresi in quello che a oggi è il più grave rovescio bellico subito dai golpisti sarebbero stati condannati a morte, altri tre a pesantissime pene detentive. E gli stessi ribelli hanno rivendicato pubblicamente la conquista della città di Paletwa nello stato occidentale Chin, un importante snodo di traffici commerciali con i confinanti India e Bangladesh.

LE FORZE ARMATE del Paese non hanno commentato, segno che negli scontri potrebbe effettivamente avere avuto la meglio l’Arakan Army (AA), uno dei tre gruppi ribelli che, assieme alla Myanmar National Democratic Alliance Army e al Ta’ang National Liberation Army, formano la Brotherhood Alliance. La quale, a partire da ottobre, ha lanciato una nuova grande offensiva contro i golpisti, mettendo in seria difficoltà la giunta in varie aree del Paese. Nel novembre scorso, l’esercito governativo aveva ammesso di aver perso oltre 250 camion di rifornimenti a causa di un altro attacco dalla Fratellanza, compiuto questa volta con dei droni – una novità nell’arsenale ribelle – nella cittadina di Muse, al confine nord-orientale con la Cina.

LA RICONQUISTATA città di Paletwa è parte di un progetto di sviluppo multimilionario tuttora in corso sostenuto dall’India per la realizzazione di nuove infrastrutture utili a connetterla col Myanmar. Visitare lo stato Chin è utile per capire come vivono i civili nelle aree liberate dalla dittatura militare.

TIKIR È DISTANTE oltre mezza giornata di pick-up da Camp Victoria, tra le più grandi basi militari del Chin National Army (CNA). Lungo la strada si attraversano una miriade di piccolissimi villaggi, che la giunta spesso bombarda dal cielo con aerei ed elicotteri militari. La notte trascorre a casa del preside di una scuola, un edificio a un piano in muratura molto più lungo chelargo. Al suo interno c’è un’aula scolastica, dove la mattina seguente una ventina di bambini e bambine fanno lezione, in questo distretto il sistema scolastico è stato riattivato un anno fa. «In Myanmar la maggior parte dei bambini – ricorda il preside chiedendoci come tutti gli altri l’anonimato, perché teme ritorsioni – ha perso il diritto all’istruzione per tre anni: nel 2020 gli istituti sono stati chiusi a causa del Covid-19, gli altri due in seguito al colpo di Stato del 1° febbraio 2021, che ha provocato la rivolta nazionale contro la giunta in difesa della democrazia».

Thantlang è la città capoluogo del distretto, evacuata dal settembre 2021 a causa degli scontri armati tra ribelli e militari. «Da allora – ricorda il preside – tutte le scuole del distretto sono state chiuse, lasciando a casa oltre 17mila bambini». La riorganizzazione dei servizi di base è iniziata non appena i ribelli del Chin National Army hanno avuto la meglio sulla giunta militare. Per l’istruzione è stato fondato il Thantlang Township Education Board (Tteb). «È un’organizzazione non governativa, senza scopo di lucro – specifica il preside – che dal gennaio 2022, grazie al volontariato di 1.181 insegnanti, ha consentito la riapertura nel distretto di 94 scuole dal 1° al 12° grado, ad eccezione di quelle di Thantlang che resta tuttora una città fantasma».

I PROBLEMI ovviamente sono tanti. «Non abbiamo fondi per pagare e formare gli insegnanti, per dare uno stipendio al personale dei cinque uffici del Tteb, oppure per acquistare materiale scolastico come libri di testo, quaderni, penne, matite, compassi e tutto quanto necessario», si sfoga il preside. Spesso a mancare è lo stesso edificio scolastico: «In alcuni casi gli alunni fanno lezione in baracche di plastica o tende, sovraffollate e messe a dura prova dagli agenti atmosferici, quali pioggia e vento. Per garantire un anno scolastico di qualità necessitiamo di 450mila dollari».

L’OSPEDALE civile del paese sta su una collina. È una struttura in muratura a un piano in buone condizioni, al lato della quale svetta un ripetitore per la telefonia mobile, non funzionante come tutti quelli presenti nelle aree ribelli, dove le comunicazioni sono state tagliate dai golpisti. Nel nosocomio l’aria è tesa: tre giorni prima hanno curato dei ribelli del Chin National Army e ora temono da un momento all’altro un bombardamento da parte della giunta. «La struttura conta 20 posti letto», spiega un infermiere, che ci mostra la sala parto, quella operatoria, la clinica odontoiatrica, la farmacia e un laboratorio. Al pari di quello scolastico, anche il sistema sanitario riattivato dai ribelli opera su base volontaria e con personale che non viene retribuito. L’ospedale, come del resto l’intero distretto, non ha elettricità. La centrale idroelettrica della zona è guasta ormai da tempo.

NEL VILLAGGIO vive un pastore, che grazie ai suoi fedeli ha un buon quadro della situazione. All’ingresso dell’abitazione fa bella mostra un’antenna parabolica, al lato della porta di ingresso un inverter per il fotovoltaico collegato a due batterie da auto, grazie ai quali ottiene energia elettrica trasformando quella solare. «Al momento la vita in Myanmar è molto dura», premette il religioso. «L’economia va a rotoli, non c’è lavoro. Viviamo meglio, ci sono maggiori libertà, ma non ci sono opportunità di guadagno e così è difficile tirare avanti».

SCONSOLATO anche il sindaco di Tikir, eletto nel dicembre 2022. «Non ho paura per il ruolo che ricopro, il vero problema è semmai l’assenza di fondi, senza i quali posso fare davvero poco per la mia gente. Non c’è elettricità, spesso manca anche l’acqua corrente e non riusciamo ad essere autosufficienti nemmeno a livello alimentare, ad esempio nella produzione agricola e di riso». Dopo tre anni di giunta militare, è così che si vive nel Myanmar liberato.