Nel comando dell’esercito israeliano al valico di transito di merci di Kerem Shalom, punto in cui si incontrano i territori di Israele, Egitto e Gaza, il colonnello Moshe Tetro si rivolge con tono deciso ai giornalisti stranieri e locali presenti. «Israele – dice – sta facendo tutto il possibile per garantire l’ingresso a Gaza degli aiuti umanitari necessari alla popolazione di Gaza. Abbiamo aperto il valico di Kerem Shalom in aggiunta a quello di Nitsana e aumentato i macchinari per la scansione delle merci provenienti dall’Egitto e siamo pronti a fare di più. A Gaza possono entrare più autocarri con aiuti. Non dipende da noi, ma dalle organizzazioni umanitarie».

I GIORNALISTI prendono nota, le telecamere sono puntate sul volto dell’ufficiale. Tetro snocciola un lungo elenco di attività che l’esercito israeliano avrebbe svolto a beneficio della popolazione di Gaza. La lista è così fitta da far apparire le forze armate israeliane come una sorta di agenzia umanitaria che assiste i palestinesi e non la devastante macchina da guerra che nei passati tre mesi ha spianato con bombe e cannonate mezza Gaza, uccidendo oltre ventimila palestinesi, e sfollato gran parte della popolazione. «L’Isis-Hamas è il problema, ruba il cibo, l’acqua e altri generi di prima necessità ai civili per passarli ai suoi uomini che si nascondono sottoterra», sottolinea il colonnello israeliano. Mentre è in corso il briefing, da Gaza arriva la notizia di un raid aereo su Deir al Balah che ha ucciso quattro infermieri a bordo di una ambulanza della Mezzaluna rossa.

Le agenzie però battono con più insistenza la notizia diffusa dall’intelligence israeliana (Shin Bet) di dipendenti e insegnanti palestinesi dell’Unrwa (agenzia Onu) che avrebbero applaudito e in qualche caso anche partecipato all’attacco di Hamas del 7 ottobre nel sud di Israele (1.200 morti).

SU DI UN PUNTO Moshe Tetro è perentorio: «Gaza non soffre la fame, c’è cibo sufficiente, anzi sta entrando più cibo rispetto alla domanda effettiva. Il Programma alimentare mondiale (Wfp) ha aperto un forno capace di produrre milioni di pagnotte». Con queste poche frasi prova a smentire le inchieste sulla fame a Gaza, conseguenza della guerra, diffuse in queste ultime settimane dall’Onu, dalle ong e dai centri per i diritti umani.

E anche i video di centinaia di bambini e adulti che attendono di poter riempire le scodelle alle mense pubbliche. A inizio settimana B’Tselem, ong israeliana a tutela dei diritti umani, ha diffuso un rapporto in cui afferma che «la disperata ricerca di cibo è incessante e di solito non ha successo, lasciando l’intera popolazione – compresi neonati, bambini, donne incinte o che allattano e gli anziani – affamata».

GAZA, ricorda B’Tselem, era già in preda a una crisi umanitaria prima della guerra, a causa del blocco israeliano che dura da 17 anni. Circa l’80% della popolazione già faceva affidamento sugli aiuti umanitari, con circa il 44% delle famiglie vicine alla fame e un altro 16% a rischio di insicurezza alimentare. Poi Israele ha lanciato la sua offensiva. Panifici, fabbriche e magazzini alimentari sono stati bombardati o chiusi a causa della mancanza di beni di base, carburante ed elettricità, mentre le scorte nelle case private, nei negozi e nei magazzini si sono esaurite. Il rapporto prevede che entro il 7 febbraio 2024 l’intera popolazione della Striscia di Gaza raggiungerà la terza delle cinque fasi fissate dalle istituzioni internazionali per misurare il livello di insicurezza alimentare e di diffusione della fame.

Se le condizioni attuali persistono, avverte B’Tselem, entro sei mesi verrà dichiarata la carestia in tutta Gaza. Cambiare questa politica, afferma il centro per i diritti umani, «non è solo un obbligo morale…la fame come metodo di guerra è proibita…quando una popolazione civile non ha ciò di cui ha bisogno per sopravvivere, le parti in conflitto hanno l’obbligo di consentire il passaggio rapido e senza ostacoli degli aiuti umanitari, compreso il cibo». Ed è quello che, secondo il colonnello Moshe Tetro, Israele starebbe facendo.

SPENTI i riflettori sul colonnello Tetro, ai giornalisti è stato concesso di scattare qualche foto e di filmare i camion con rimorchio inviati dalla Mezzaluna rossa e le Nazioni unite che trasportano le loro merci ai controlli.

Dall’altra parte delle linee di demarcazione, dietro i lastroni di cemento armato che proteggono il valico di Kerem Shalom, proseguono i bombardamenti che il segretario di stato Usa Blinken ha descritto durante la sua missione in Israele e a Ramallah come «meno intensi» e «più circoscritti» per salvaguardare i civili palestinesi. Tutto merito, hanno pensato tanti, delle pressioni degli Stati uniti. Non appaiono così leggeri ai residenti del quartiere Rabaa Gharbia di Khan Yunis. Fonti locali palestinesi riferivano ieri sera che, quando i carri armati israeliani hanno lasciato quella zona, sono stati ritrovati i corpi senza vita di una settantina di persone della famiglia Al Astal, tra cui molte donne e bambini.

ALTRI 40 MORTI si sono registrati in attacchi che, sempre secondo fonti di Gaza, sono avvenuti nella zona centrale della Striscia, in particolare nei pressi dell’ospedale di Deir Al Balah. Non lontano da quella città, a Wosta, qualche ora prima erano stati uccisi sette palestinesi e altri quattro nel campo profughi di Maghazi. A Rafah, i parenti hanno pianto davanti ai corpi di 15 membri della famiglia Nofal portati all’obitorio dell’ospedale locale dopo che la loro casa era stata distrutta da un attacco aereo. Un enorme cratere ha preso il posto dell’abitazione dei Nofal ridotta in macerie e da cui emergevano ieri materassi intrisi di sangue e giocattoli rotti.

Blinken, al suo quarto viaggio nella regione dall’inizio della guerra, mercoledì si è recato a Ramallah e ha incontrato il presidente dell’Autorità palestinese (Anp) Abu Mazen, nella Cisgiordania occupata. Il segretario di stato ha espresso sostegno a uno Stato palestinese – il governo Netanyahu lo respinge con forza – e più di tutto ha insistito su un processo di profonde riforme interne all’Anp. Stando alle notizie giunte da Ramallah, i dirigenti dell’Anp hanno manifestato la loro insoddisfazione per la linea scelta dagli Stati uniti. «Se gli Usa non hanno la forza di sbloccare i fondi palestinesi che Israele si rifiuta di consegnare, come potranno fare le pressioni su Israele per lo Stato palestinese?», avrebbe detto Abu Mazen a Blinken.

SI TORNA a parlare di una trattativa per la liberazione dei circa 130 israeliani prigionieri a Gaza. Secondo l’emittente tv Canale 13, il Qatar propone il rilascio di tutti gli ostaggi in varie fasi, l’esilio dei leader di Hamas a Gaza e il ritiro dell’esercito dalla Striscia.