Dopo il magnifico anacronismo del Megalopolis di Francis Ford Coppola, arriva in concorso un altro dei titoli più attesi della selezione di quest’anno – Emilia Perez, di Jacques Audiard. Ed è un film che sembra pensato apposta per l’aria del nostro tempo. Dopo essersi misurato con il thriller, il western e l’adattamento di un fumetto, il regista di Il profeta e delle Palma d’oro 2015, Dheepan – Una nuova vita, prova il musical striato di commedia, melodramma e persino telenovela, sullo sfondo dell’America latina. Girato quasi interamente in un teatro di posa parigino con alcuni esterni in Messico (Audiard dice di aver preferito così per avere maggior controllo sulle coreografie), Emilia Perez è ambientato in una città dominata dal narcotraffico, dove un abile avvocato difensore, Rita (Zoe Saldana), non riesce a farsi strada («perché» sono nera) ed è costretta a mantenersi scrivendo le oratorie dei colleghi maschi, che poi si prendono il merito del caso vinto. In realtà, non sono solo il suo sesso e la sua vita che cambiano quando Manitas – grazie al bisturi di un chirurgo israeliano – diventa Emilia (l’attrice spagnola transgender Karla Sofia Gascon, fenomenale, interpreta entrambi)

La redazione consiglia:
Audiard e il manuale del lepennismo razzista

DOPO aver tolto dai pasticci un ennesimo uxoricida, per la frustrazione, Rita si lancia in un balletto, circondata da donne delle pulizie in rosa. Il suo talento viene però notato da uno dei più crudeli boss della droga del posto, Manitas, che la fa rapire e le propone un lavoro: aiutarlo a realizzare il suo sogno di diventare una donna e, così facendo, cambiare vita.

In realtà, non sono solo il suo sesso e la sua vita che cambiano quando Manitas – grazie al bisturi di un chirurgo israeliano – diventa Emilia (l’attrice spagnola transgender Karla Sofia Gascon, fenomenale, interpreta entrambi): diventando donna, il narcoboss diventa un’altra persona. Diversamente da Schrader, la redenzione per Audiard è più o meno implicita nel nuovo gender. Coadiuvata da Rita, Emilia apre un’organizzazione per donne in cerca dei figli scomparsi. Nemmeno la moglie di Manitas, Jessi (Selina Gomez, che sfoggia una ferocia adulta), riconosce il temibile marito dietro alla capigliatura fluente e ai vestiti attillati di Emilia che, fingendosi la cugina del narcoboss, la richiama dall’esilio in Svizzera e se la mette in casa, per poter rivedere i suoi bambini.

NEI SUOI MOMENTI migliori, quando il film prende un po’ in giro anche sé stesso e la programmaticità per cui ogni uomo è un maiale e ogni donna una vittima (Emilia trova finalmente l’amore nelle braccia di una donna abusata, Epifania; ed è solo grazie ad Emilia che Rita fa carriera; il bagno di sangue finale è, ovvio, provocato da un maschio), Emilia Perez sfiora lo humor surreale e la meravigliosa complicità femminile dell’universo di Almodovar. Il formato del musical (sono musical anche i nuovi film di Todd Philips e Joshua Oppenheimer) è usato in modo abbastanza leggero, stemperato nel mood realistico del film, girato da Paul Guilhaume, e la cui colonna sonora è stata affidata alla cantante francese Camille.