Da decenni ritirata dal mondo in una piccola cella di un monastero della Chiesa ortodossa etiopica a Gerusalemme – e malgrado il contesto in cui si trovava fosse come minimo indifferente al suo talento – anche negli ultimissimi anni della sua lunga vita Emahoy Tsegué-Maryam Guèbrou aveva conservato intatta una grande passione per la musica, e aveva continuato in solitudine a comporre: non l’unico aspetto singolare della vicenda umana e artistica della pianista e compositrice etiopica, mancata a Gerusalemme il 25 marzo, a 99 anni.
Tsegué-Maryam nasce col nome di Yewebdar Gebru il 12 dicembre 1923 ad Addis Abeba: il padre, di modeste origini, inviato da missionari protestanti a studiare teologia in Svizzera, è stato nominato dall’imperatore kèntiba (sindaco) di Gondar, e ha avuto funzioni diplomatiche.

A SEI ANNI anche Yewebdar viene mandata a studiare in Svizzera, in un collegio: colpita dal concerto di un pianista, la bambina si applica al pianoforte e al violino. Nel ’33 torna in Etiopia per proseguire gli studi, ma con l’aggressione fascista all’Etiopia e l’occupazione di Addis Abeba, nel ’37 Yewebdar è deportata con la famiglia all’Asinara, in Sardegna, poi vicino a Napoli. Dopo la sconfitta degli italiani in Africa orientale, Yewebdar riprende gli studi musicali al Cairo, sotto la guida del violinista polacco Alexander Kontorowicz, docente all’università e concertista anche alla corte di re Fuad. Nel ’44 Kontorowicz viene chiamato ad Addis Abeba da Haile Selassie, che lo incarica di riorganizzare l’orchestra della guardia imperiale, e Yewebdar rientra in patria.

La redazione consiglia:
Canzoni di guerra per ritrovare la paceFinita la seconda guerra mondiale, si profila per lei, che fa parte dell’alta società intorno all’imperatore, la possibilità di perfezionare i suoi studi di pianoforte in Gran Bretagna: ma per motivi rimasti non chiari, forse per un veto posto dal Negus in persona, questa opportunità le viene negata. Vedendo infrangersi le sue speranze di un avvenire da concertista, la giovane Yewebdar precipita nella depressione, smette di mangiare, e arriva ad un passo dalla morte, tanto che le viene impartita l’estrema unzione. Si riprende, ma un lavoro alla guardia imperiale non vale a consolarla, e Yewebdar decide di diventare Emahoy (monaca) Tsegué-Maryam e di ritirarsi in uno sperduto monastero di montagna. Le condizioni di vita sono durissime, e mettono a rischio la sua salute, e dopo una decina d’anni accetta quindi di tornare ad Addis Abeba, dove si occupa di orfani e riprende a fare musica, per beneficenza: è a questo scopo che fra il ’63 e il ’72 incide in piano solo quattro Lp di sue composizioni (e poi un Cd nel ’96), ma le sue esibizioni sono rarissime; nel frattempo trascorre alcuni anni a Gerusalemme, lavorando come interprete (parla amarico, francese, inglese, tedesco, italiano ed ebreo) presso la chiesa ortodossa etiopica. Nel ’72 rientra in Etiopia, ma il colpo di stato militare del Derg, non tenero con la chiesa ortodossa, la spinge nell’84 a trasferirsi nel monastero di Gerusalemme dove ha trascorso gli ultimi quattro decenni della sua vita.

NEL 2006 «éthiopiques» le consacra il suo ventunesimo volume, intitolato Ethiopia Song, una compilation delle sue registrazioni: per Francis Falceto, curatore della collana, non si tratta certo di una banale curiosità, ma di un altro esempio significativo, accanto alla canzone etiopica moderna degli anni d’oro, della capacità della musica etiopica di assorbire modelli dall’esterno – in questo caso il pianismo europeo – riconducendoli però sempre all’espressione di un’identità spiccatamente radicata. Alla giovane Yewebdar piacevano Beethoven, Chopin, Strauss: ma nei brani che ha composto Tsegué-Maryam Guèbrou ha messo anche l’Etiopia e attraverso l’Etiopia l’Africa. Così non c’è da stupirsi che nel suo pianismo gentile e malinconico – ma di carattere, e di originale complessità armonica e ritmica – si senta il blues, il ragtime, il jazz delle origini: per la regista Garrett Bradley, che ha usato la sua musica per il documentario Time (2020), le sue melodie richiamano New Orleans, mentre due suoi brani sono stati considerati perfetti per la New York della Harlem Renaissance di Passing (2021) della regista Rebecca Hall.