È difficile avanzare ipotesi sul futuro politico del premier Benyamin Netanyahu. Dipende dalla guerra che il governo israeliano continua a condurre contro Gaza. L’attacco di Hamas del 7 ottobre ha avuto ripercussioni fortissime che non è ancora possibile valutare appieno.

L’enorme paura, la sensazione di vulnerabilità, l’evidente fallimento dell’esercito mostratosi impreparato di fronte all’attacco, la brutalità di Hamas che per lunghe ore ha potuto uccidere, stuprare, dar fuoco a diversi villaggi oggi semidistrutti, senza una reazione efficace, in un’area che teoricamente era protetta dall’esercito israeliano: tutto questo dimostra senza dubbio il fallimento del «grande leader», il capo indiscusso, lo statista.

IN QUESTE PAGINE abbiamo sottolineato più volte che Hamas poteva permettersi il lusso di mini-guerre con Israele, e che Netanyahu dal canto suo operava per distruggere le reali possibilità di pace, per le quali non aveva alcun interesse. Una relazione simbiotica permetteva a entrambi di portare avanti un gioco che le rafforzava.

Nei giorni successivi all’inizio della guerra, Netanyahu ha perso gran parte della sua popolarità, minata anche dall’inazione e dalle enormi somme spese nei progetti e nella corruzione della coalizione religiosa messianica e dell’estrema destra, insieme al Likud. Il governo sembrava inesistente e quando alcuni ministri osavano andare negli ospedali, venivano cacciati dai cittadini.

Altri fattori giocano. Durante le lunghe proteste che hanno accompagnato per molti mesi l’operato della coalizione governativa si erano formati seri gruppi di opposizione che dopo il 7 ottobre hanno organizzato gli aiuti alle comunità colpite dall’attacco di Hamas, mentre i ministri di diversi partiti e i ministeri, insaziabilmente corrotti, praticamente non funzionavano.

L’opinione pubblica si è trovata di fronte a un quadro governativo caratterizzato da un’assoluta apatia verso le vittime e a un punto tuttora centrale: Hamas ha rimosso ogni limite alle proprie forze, che hanno scatenato un’offensiva violenta e disumana. Più di 200 israeliani e alcune decine di lavoratori stranieri sono stati portati come ostaggi a Gaza. Non si tratta di «normali» prigionieri di guerra, ma bambini di pochi mesi, persone giovanissime, anziani.

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Con la mediazione di Qatar, Egitto e Stati uniti, era stato raggiunto un primo accordo che aveva permesso la restituzione di 85 prigionieri. Con la sua rottura, la guerra è ripresa. I parenti dei prigionieri sono ora una forza politica infuriata che chiede un vero sforzo per il rilascio, anche se il prezzo da pagare fosse elevato.

IL RITORNO dei prigionieri significherebbe la fine dell’azione militare, soprattutto per il ruolo centrale del governo Biden. Netanyahu ha ripreso le abituali arie da «grande statista», ma ormai molti capiscono che si occupa solamente della propria sopravvivenza politica. Cerca ogni giorno di farsi fotografare con i soldati, naturalmente avendo cura di scegliere solo le unità senza riservisti, così da non correre il rischio che si levino proteste e voci critiche.

L’ingresso nel governo di Benny Gantz e del suo partito ne ha rafforzato notevolmente la popolarità. Non si notano grandi cambiamenti nella politica di guerra del governo, ma sondaggi non ufficiali rivelano che, se si votasse adesso, la sconfitta di Netanyahu sarebbe certa.

È difficile spiegare in breve come sia stata ripristinata la «macchina dei veleni». Il premier è un grande artista nel fomentare rivalità e conflitti tra i vari elementi della società di Israele. È Netanyahu il responsabile dei 1.500 morti di parte israeliana in questa guerra? Ma ha già sostenuto che sono stati uccisi più israeliani a causa degli accordi di Oslo. Si sapeva già nel 2018 degli enormi fondi accumulati da Hamas e Netanyahu non ha fatto nulla per bloccarli: perché? Ma l’interessato sostiene che non è il momento di parlare di politica.

Tre ostaggi israeliani fuggiti dai loro carcerieri reggono un bastone con un pezzo di stoffa bianca ma i soldati israeliani sparano e li uccidono, provocando reazioni furiose contro la linea di Netanyahu che non ha voluto negoziare un possibile nuovo accordo per il rilascio dei prigionieri.

IL PREMIER sarebbe felice di continuare questa guerra infinita. Teme che la sua conclusione possa portare a un’azione decisa nei suoi confronti. La sua paura è fondata.

Tuttavia, purtroppo non sono sicuro che con la fine di Netanyahu si possa aprire un capitolo migliore. Il pacifismo israeliano non si è ancora svegliato dall’enorme ondata di odio suscitata dall’attacco del 7 ottobre. La fine temporanea delle azioni militari in corso non porterà, per ora, a un ritiro israeliano da Gaza.