A differenza della governance della Sapienza, il presidente della Repubblica non ha ignorato gli studenti che protestano contro il massacro in Palestina e per la smilitarizzazione della ricerca. Mercoledì sera i collettivi studenteschi gli avevano mandato una lettera per invitarlo «a raggiungerci al presidio delle tende, per avere finalmente quel confronto con le istituzioni che da tanto tempo chiediamo».

E ieri Mattarella, alla Sapienza per la Giornata del Laureato, nel tipico linguaggio presidenziale forgiato da decenni di scuola democristiana, non si è sottratto e ha risposto agli studenti e alle studentesse in presidio nella città universitaria.

«LA LETTERA mi ha sollecitato a non includermi in quella che è stata definita la ‘Torre d’avorio del rettorato’. Venendo ho visto un cartello che mi chiedeva cosa pensassi di cosa avviene a Gaza. Non voglio lasciarla senza risposta: la questione della pace in Medio Oriente e il diritto della sicurezza di Israele e quello dei palestinesi di avere uno Stato è qualcosa che la comunità internazionale avverte con grande preoccupazione».

Il capo dello Stato ricorda di aver chiesto il cessate il fuoco su Gaza più volte «pubblicamente e non in circostanze fortuite o informali, come all’Onu qualche giorno fa» e che «tutto quel che riguarda la dignità delle persone, ogni persona, la necessità di rispettare il diritto umanitario, è inserito nella nostra Costituzione», aggiungendo che questo «criterio vale per tutti»: palestinesi, israeliani, iraniani, afghani.

Mattarella riconosce le ragioni e la portata globale della protesta degli universitari: «Per la nostra Repubblica tutte le violazioni dei diritti umani vanno denunciate, la rivendicazione della libertà e la condanna della sopraffazione, non cambiano a seconda delle relazioni internazionali. Questa consapevolezza è avvertita nelle università, sono luogo di critica e talvolta dissenso del potere, sempre in collegamento con gli atenei di ogni parte del mondo».

Infine un “consiglio” ai manifestanti: «Il potere, quello peggiore, desidera che le università del proprio paese siano isolate, senza rapporti né collaborazioni con gli atenei degli altri paesi perché questa condizione consente al peggiore dei poteri di controllarli. Ribadisco l’auspicio del dialogo nel reciproco rispetto».

Intanto un centinaio di studenti, tanti quanti Digos e telecamere, manifestava sotto al rettorato. «Per noi stare qui è un privilegio, le università a Gaza non ci sono più – dice una studentessa di filosofia – Sono otto mesi che la rettrice ci ignora e noi continuiamo a fare cortei dentro l’università nonostante ci abbiano manganellati noi continuiamo a dire le stesse cose».

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Un’altra aggiunge: «C’è un genocidio in corso e loro pensano a ridicolizzare le nostre posizioni». Dal megafono dicono a Mattarella: «La Costituzione che protegge siamo noi che difendiamo il diritto a esistere dei popoli», «siamo noi il tuo Parlamento in seduta comune». Le previsioni di scontri della vigilia sono scongiurate, c’è un lancio di aeroplanini di carta, un paio di fumogeni, la musica a tutto volume. Tutto qui.

«APPENA facciamo un passo fuori ci massacrano, siamo pochi e la protesta sarà lunga, non ha senso farci spaccare la testa», ragionano. E infatti, quando il Presidente ha già lasciato la Sapienza, il corteo fa finta di uscire da via Regina Elena. Un passo fuori dal cancello, respinto dagli scudi. Nessun manganello anche se ci sono sette camionette della celere sul viale e gli studenti sono sempre meno. Breve contrattazione con la Digos e tornano nelle tende.

Ma in serata, sui social, si dicono non soddisfatti dal discorso di Mattarella, «non basta chiedere il cessate il fuoco per avere la coscienza pulita, non esiste la libertà tanto citata finché vive l’oppressione». E accusano ancora una volta la rettrice Polimeni di «incapacità nella gestione dell’ordine pubblico». «Abbiamo visto l’ennesimo intervento della celere all’università, ancora una volta preferisce il manganello al dialogo con gli studenti e le studentesse».

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