La centrale idroelettrica Enel di Monticelli d’Ongina, nel Piacentino, è stata spenta a causa della mancanza d’acqua nel fiume Po che la alimentava. Ed è la prima volta dalla sua fondazione, a inizio anni Sessanta, che succede. Il ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani si dice «abbastanza preoccupato», perché «il flusso d’acqua per l’idroelettrico è cruciale» e sta valutando «tutte le azioni» da prendere. Valuta. Ma le Regioni – riunite in Conferenza – lo spingono ad agire.

Il vertice di governo sul tema siccità, che potrebbe decretare l’atteso «stato di emergenza nazionale», è atteso per domani. Ma in questa corsa dietro all’emergenza viene celato un concorso di responsabilità di sistema: la crisi idrica era preannunciata dopo un inverno senza precipitazioni al Nord. Poco si è fatto e niente si è pianificato. La ministra per il Sud Mara Carfagna rivendica, però, un lavoro sotterraneo di «sei mesi» che a breve darà vita a un «piano acqua» che sostenga l’intera filiera, dagli invasi agli acquedotti alle utenze finali. «Il piano sarà gestito con un Contratto istituzionale di sviluppo, sul quale abbiamo avuto già positivi riscontri dagli enti territoriali: l’investimento iniziale previsto è consistente, un miliardo a valere sul ciclo 2021-2027 del Fondo di Sviluppo e Coesione. Ma potrebbe essere incrementato ancora».

La siccità mette a dura prova l’Italia, da Nord – la zona più fortemente colpita – a Sud. Il Piemonte è l’epicentro della crisi: in oltre 200 comuni l’acqua è razionata, gli invasi sono al minimo storico con una riduzione media dal 40 al 50%. Grave situazione anche in Emilia-Romagna dove le temperature sono roventi e alla scarsità di acqua si somma la risalita del cuneo salino nel delta del Po; attivate misure emergenziali per l’acquedotto di Ferrara. Agricoltura in sofferenza ma situazione più sotto controllo in Lombardia. In Veneto, è la provincia di Verona quella più colpita: 40 comuni razionano l’acqua. Nel Centro Italia sorvegliato speciale l’Appenino e la situazione più grave è, per ora, nel Lazio, nel Viterbese; soffrono Tevere e Lago di Bracciano. In Puglia è scattato il pre-allarme, ma al Sud la condizione è relativamente più tranquilla.

Oggi, i governatori incontreranno il capo del Dipartimento della Protezione Civile, Fabrizio Curcio, a cui avanzeranno diverse proposte, tra cui quella di favorire intese con i produttori di energia idroelettrica affinché si possa abbassare la percentuale di produzione in favore dell’utilizzo umano e agricolo dell’acqua. Finché non ci sarà lo stato di emergenza nazionale nessuna norma, però, può obbligare disposizioni in questo senso. Le Regioni vogliono che sia decretato al più presto per razionare l’acqua in favore di un uso maggiore a scopi umani (di prima necessità) e agricoli e per scongiurare un’immediata chiusura di parchi acquatici, piscine o la disattivazione di fontane monumentali. Il governo non si sbottona più di tanto ma pare disposto ad aprire allo stato di crisi e, secondo quanto riferiscono fonti ministeriali, a chiedere all’Europa fondi da stanziare. Le Regioni chiederanno al governo semplificazioni normative e la possibilità di individuare uno spazio di manovra nelle pieghe del Pnrr.

Intanto, nei primi giorni di trebbiatura, la Cia ha diffuso le prime stime sul raccolto del grano che patirà un taglio del 30%. In Emilia Romagna, al termine della cabina di regia regionale, l’assessore all’Agricoltura Alessio Mammi ha sottolineato come «la priorità sia la salvaguardia della funzione idropotabile, ma subito dopo c’è quella di garantire le produzioni agricole» come mais, pomodoro, frutta e riso, perché «è anche una questione di sicurezza alimentare».