Alla prima proiezione pubblica, in una sala sold out, i protagonisti di Chao sono arrivati con le bandiere rosse, il pugno alzato e la loro battaglia per la terra. Una sola dichiarazione: «Non ci arrendiamo». E nel Brasile di Bolsonaro dove la politica liberista promessa dal nuovo presidente salvaguarda latifondo e interessi delle multinazionali additando i senza terra come dei «terroristi» contro cui i proprietari terrieri devono puntare il fucile per difendere i loro possedimenti, è una sfida rivoluzionaria. Chao – nella selezione del Forum – è uno di quei film necessari, molto semplice nella sua struttura illumina da vicino, e senza filtri, la battaglia dei contadini nella regione centrale del Brasile. Camilla Freitas, la regista, li ha seguiti per quattro anni, da quando cioè nel 2015 hanno occupato una parte di una fabbrica fallita continuando a combattere per la riforma agraria.E intanto hanno suddiviso gli spazi riorganizzandoli per coltivare in modo bio organico senza uso di pesticidi e altre sostanze chimiche. Siamo nello stato di Goias, la fabbrica che produceva canna da zucchero, è andata in bancarotta anni prima, deve milioni allo stato e non potrà mai più riaprire, eppure il governo vuole cacciare le seicento famiglie che vi vivono e lavorano. Alcuni di loro sono arrivati da poco nell’MST, il movimento Senza Terra, come la Nonna, che aveva una panetteria, ha lasciato la città per unirsi al Movimento e ora dell’occupazione è una delle figure più carismatiche. Altri come P.C. militano da quindici anni, altri ancora dalla città dopo decenni di fughe dalla campagna, hanno cominciato a farvi ritorno.

«NEL CORSO della lavorazione abbiamo incontrato molti gruppi di senza terra, ma quando ho scoperto l’occupazione di Leonir Orbak, ho deciso di fermarmi lì. Mi piaceva la forza e la speranza che caratterizzavano la comunità e anche il fatto che molti di loro avevano scoperto da poco il Movimento Senza Terra. Al suo interno è cresciuto un forte legame tra i contadini e il sottoproletariato urbano che dalla miseria delle periferie ha deciso di tornare in campagna, vedendo nella lotta per la terra una possibilità di resistenza individuale e collettiva», racconta Freitas. E aggiunge: «L’occupazione ha recuperato il territorio scegliendo la strada della sostenibilità».

L’ORGANIZZAZIONE del lavoro nel quotidiano si mescola alle aspettative di ciascuno, ai sogni, all’ironia, alla fatica di opporsi alla legge, ai processi che vogliono cacciarli distruggendo anni di lavoro. Ogni passaggio di questi anni è un frammento di storia del Brasile e, più in generale, dell’America latina dove la riforma agraria è stata sempre al centro della politica che su questo conforma i propri orientamenti. Un punto di scontro mai risolto come dimostrano persecuzioni e massacri coperti dai governi e eseguiti con ferocia da poliziotti e squadroni contro il Movimento con almeno duemila morti ufficiali. E, appunto,le terre sono state al centro della campagna elettorale della destra di Bolsonaro, il quale ha deciso subito di trasferire l’Istituto per le riforme agrarie al ministero dell’agricoltura nelle mani dei grandi proprietari: una scommessa quotidiana di vita che il film di Freitas rende specchio del presente.

L’AZIONE dei Senza Terra interroga infatti le questioni sensibili del nostro tempo, le logiche di un capitalismo arcaico e contemporaneo insieme che unisce vecchi privilegi e globalizzazione, la finanza delle grandi multinazionali e gli interessi dei poteri locali; la devastazione dell’ambiente compiuta abbattendo la foresta per lasciare posto alle colture intensive o dalla chimica applicata all’agricoltura che avvelena terra e prodotti e le persone che lo abitano. E, al tempo stesso, destabilizza i disegni di marginalità e sfruttamento del lavoro, puntando a un consumo sano per tutti. Una lezione di resistenza.