Muriel (Caterine Deneuve) dirige un’azienda agricola nella bella regione dell’Occitania. Da una parte c’è il frutteto coltivato a ciliegio, dall’altra una scuderia sportiva e turistica che sfrutta i maestosi paesaggi di mare e di terra del sud dei Pirenei. Per il suo nuovo film – L’adieu à la nuit – un dramma a sfondo politico, presentato fuori concorso, Techiné ha scelto quest’angolo di Francia, al tempo stesso selvaggio e addomesticato. Ma il suo resta un cinema intimo, d’interni. E, infatti, gli scorci vertiginosi sono più intravisti che attraversati, osservati alla televisione oppure attraverso i vetri di un pick up. Sono soprattutto i primi simboli d’un film che non smette di accumulare indizi e piste per spiegare la scelta di Alex.
QUAL’È questa scelta? Alex è rimasto orfano della madre, morta in un incidente subacqueo. Il padre si è rifatto una vita in Guadalupe. Alex è cresciuto insieme alla nonna Muriel, si è fidanzato con Lila, che lavora come donna di servizio nella fattoria e come badante in una clinica per anziani. Ma i due innamorati si vedono poco, fa notare Muriel, perché lui è sempre i giro. E quando infine torna, è solo perché entrambi hanno deciso di partire per il Canada. In realtà il progetto è un altro. Muriel scopre quasi subito che Alex si è convertito alla religione di Lila, e poco dopo che il loro progetto è di andare in Siria a combattere per lo Stato Islamico.

IN FRANCIA non sono pochi i ragazzi ad aver abbandonato il paese dei diritti dell’uomo e del cittadino per imbracciare il fucile in nome di Daesh. A tal punto che a qualcuno è venuto il dubbio che forse questi diritti non siano effettivamente poi così universali, almeno per una parte della popolazione. Questo spiega perché Lila sia diventata reclutatrice dello Stato Islamico. Ma perché Alex, che viene da una famiglia laica e benestante, si è convertito? Il film è interessante perché, inventando un personaggio fuori dagli schemi, si dà una possibilità di interrogare il tipo umano del combattente al di là dei soliti cliché. Per questo è interessante la risposta che un ex soldato dell’Isis dà a Muriel che lo interroga nella speranza di capire cosa Alex abbia nella testa, solo per sentirsi rispondere che un ragazzo a quell’età ha soprattutto voglia di cambiare, di fare qualcosa della propria vita, insomma di essere giovane.

 

SE IL FILM si fosse limitato a questo scontro tra ragioni di testa e del cuore, sarebbe stato meglio. Lasciando alla simbologia naturale di fare il resto : non solo i paesaggi di cui abbiamo già parlato, ma anche un misterioso cinghiale che nottetempo viene a scavare la terra in cerca di tuberi, e che Muriel aspetta invano, fucile in spalla. Invece gli autori hanno avuto paura d’una sceneggiatura non abbastanza coerente, ed hanno ceduto alla tentazione di spiegare le ragioni di Alex con l’artiglieria della più banale psicologia: la madre morta, il padre assente, l’omosessualità latente… Il film impila sotto l’io di Alex una torre di focaccine psicoanalitiche, dalla quale il protagonista si lancia in un doppio salto carpiato edipico all’indietro. Errore fatale. Non è il solo.

Techiné è noto, a ragione, per la sua abilità nel dirigere gli attori. E gli esordienti sono quasi tutti convincenti. In special modo Kasey Mottey Klein nel ruolo, non facile, di Alex. Stessa cosa per l’ex combattente interpretato da Kamel Laboudri. Chi invece sembra spaesata è Catherine Deneuve. La sua presenza impedisce al personaggio di Muriel di prendere corpo, e la sua violentissima plastica facciale è come un segnale luminoso che ricorda allo spettatore: attenzione, stai guardando un film.