Un tempo i segretari del Partito democratico che perdevano le elezioni si dimettevano. Oggi invece di sconfitta in sconfitta Renzi avanza, apparentemente fiducioso, verso le prossime elezioni politiche. Forse le ultime che gli restano da perdere. Senza ammettere la sonora batosta scritta in questo 16 a 6 per il centrodestra, l’ex uomo solo al comando si accontenta della debacle subita nelle roccaforti tradizionali della sinistra.

Somiglia a due delle tre famose scimmiette: non vede, non sente, ma parla. A sproposito.

L’esito di questi ballottaggi, a parte i vincitori e i vinti, porta alla ribalta un problema più importante e preoccupante: la bassissima partecipazione al voto, ormai in caduta libera. A Genova, città simbolo delle elezioni, ha votato appena il 42% degli elettori (una conferma purtroppo). Disillusione, infelice conclusione dell’esperienza del sindaco arancione, Marco Doria, ma più in generale scarso coinvolgimento, sfiducia nei partiti e nei politici allontanano gli italiani dalle urne, facendo vincere chi riesce a tenere saldo il proprio elettorato.

Da questo punto di vista, le comunali sono all’insegna di Pirro, anche perché la crisi che taglia il welfare e impoverisce il lavoro, punisce la trincea delle amministrazioni locali che, infatti, difficilmente vedono la conferma dei sindaci uscenti.

La desertificazione elettorale, lo sciopero dell’urna riguarda tutti i partiti.

Ma la prima impressione è che riguardi soprattutto il centrosinistra. E non potrebbe essere diversamente se il pilastro dello schieramento è Renzi che negli ultimi quattro anni è diventato un collezionista di sberle elettorali.

Ha frantumato il suo stesso partito, disorientato in seguito alla sconfitta delle passate votazioni, e in particolare dalla batosta subita il 4 dicembre scorso al referendum costituzionale.

Se a questo sgretolamento interno, si aggiunge il distacco crescente tra chi governa e i cittadini – alimentato da politiche sociali dissennate e da scelte più che imbarazzanti (il salvataggio delle banche ora ci costa 17 miliardi) – c’è poco da meravigliarsi del risultato di ieri. Che non viene neppure compensato da alcuni esempi virtuosi, come a Padova, dove ha prevalso una nuova sinistra capace di raccogliere i cocci renziani, di avere gambe robuste, e di lanciare idee politiche e sociali. Bisognerebbe farne tesoro anche per i lavori in corso a livello nazionale.

Però se Sparta piange, Atene non ride.

Gli apprendisti stregoni come Grillo non sono più invincibili macchine elettorali. Anzi, ora subiscono la disillusione delle ex osannanti folle dei vaffa day. E Pizzarotti, ultra vincente a Parma, potrebbe essere interpretato come un vaffa day al contrario. In qualche caso poi i voti pentastellati del primo turno, al ballottaggio sono andati prevalentemente alla destra di Salvini, spinti dalla campagna comune contro lo ius soli.

Più in generale si può dire che nello scontro tra due litiganti, ha prevalso il terzo.

Perché il Pd e il M5S, inscenando continui e stancanti duelli rusticani, pronti a sbranarsi l’un l’altro con lo stesso linguaggio dell’antipolitica, alla fine hanno lavorato per il re di Prussia, la destra: Berlusconi, Salvini e Meloni sono più bravi di loro nell’arte del becerume politico, e sono animati da una bramosia di potere che li mette insieme quando in ballo c’è il governo delle città da conquistare.

Restano tuttavia aperte le contraddizioni dello schieramento, con Berlusconi in difficoltà per le magre percentuali raccolte rispetto a quelle della Lega che in molti comuni è riuscita a doppiare Forza Italia: nella gara populista Salvini è il primo.

L’Italia è colpita da una forte siccità distruttiva per l’ambiente e per la nostra vita. Il voto di ieri evidenzia un’altra siccità: quella politico-elettorale, che distrugge speranze, passione, partecipazione.

E forse la siccità ha asciugato per sempre le acque del centrosinistra. Una nuova sinistra che vuole costruire e fare, deve evitare che l’acqua vada sprecata e cercare di portarne sempre di più al proprio mulino.