Demba è nato in Senegal, ma da 18 anni vive in Italia. Ha sempre lavorato, ma non ha mai avuto un permesso di soggiorno. «Stavolta speravo di farcela. Da quando sono arrivato non sono potuto tornare a casa. I miei due figli ormai sono grandi», racconta. Quattordici mesi dopo la chiusura della sanatoria 2020 Demba non ha saputo nulla della sua richiesta di regolarizzazione. Non è un caso isolato: finora il 58,5% delle domande non hanno avuto risposta.

I dati più aggiornati li ha forniti mercoledì scorso il sottosegretario all’Interno Ivan Scalfarotto (Iv), rispondendo al question time del deputato Riccardo Magi (+Europa). Delle 207.870 richieste di emersione presentate dai datori di lavoro in prefettura 68.147 hanno avuto esito positivo (32,7%), 10.757 sono state rifiutate, 1.973 sono terminate per rinuncia. Le altre restano in attesa. Migliore il dato relativo all’auto-emersione chiesta dai lavoratori in questura: di 11.218 pratiche ne sono state evase 10.098.

Perché a oltre un anno dalla fine della regolarizzazione Demba e altri 127.112 cittadini stranieri non sanno cosa accadrà loro? Due le ragioni: le modalità di reclutamento dei lavoratori destinati a smaltire le pratiche; la complessità burocratica dell’iter. Secondo Scalfarotto hanno pesato, soprattutto all’inizio, la difficoltà a individuare un’agenzia interinale che fornisse il personale di supporto agli sportelli unici, l’intreccio delle competenze tra amministrazioni diverse (prefetture, questure, ispettorati del lavoro, Inps), l’impossibilità di gestione solo telematica, l’effetto della pandemia sugli appuntamenti in presenza. Una motivazione, quest’ultima, paradossale per una misura nata per rispondere all’impatto dell’emergenza sanitaria in alcuni settori del mercato del lavoro.

«C’è un problema generale su come lo Stato concepisce il lavoro intorno ai migranti, sia per la sanatoria che per il diritto d’asilo – afferma Davide Franceschin, segretario nazionale Nidil Cgil – Il governo si appoggia sui contratti di somministrazione, usa i precari per un fenomeno strutturale». Per potenziare gli sportelli unici nella gestione delle domande di emersione sono stati assunti con contratti di sei mesi 800 lavoratori destinati alle prefetture attraverso Manpower e 700 per le questure via Gi Group. Nella selezione sono state richieste esperienze in ambito amministrativo, ma non era necessaria la conoscenza del diritto dell’immigrazione.

Nonostante queste assunzioni fossero già previste dall’articolo 130 del decreto legge 34 di maggio 2020, che ha introdotto la sanatoria, gli interinali sono arrivati in due tranche: a marzo e aprile 2021. In 37 sportelli unici le istanze lavorate dopo il loro ingresso oscillano tra il 70 e il 90%. «Il mio contratto scadeva il 21 settembre. Il giorno prima è stato prorogato al 31 dicembre. A quella data le pratiche non saranno concluse ma intanto ci lasciano nel limbo, senza dirci cosa accadrà tra tre mesi», afferma Ornella Ordituro, interinale nella prefettura di Milano ed ex lavoratrice di centri di prima accoglienza e Sprar a Trieste.

Oltre ai ritardi delle assunzioni e alla precarietà del personale è l’iter burocratico l’altra ragione del flop. I documenti richiesti sono troppi e alcuni difficili da trovare, soprattutto in pandemia (come l’idoneità alloggiativa). A ogni «carenza documentale» c’è uno stop and go che richiede anche un mese. E mentre il tempo passa le cose cambiano: al 6 agosto, secondo i dati disaggregati della campagna Ero straniero, 35.868 permessi di soggiorno su 49.374 (il 72%) richiesti dai datori di lavoro erano stati rilasciati per attesa occupazione. In pratica il rapporto di impiego è finito prima della procedura di emersione. Anche Demba ad aprile ha perso il lavoro da colf. «Avrei diritto alla Naspi [indennità di disoccupazione, ndr] ma senza codice fiscale non posso ottenerla e senza permesso non posso avere il codice. Spero almeno non ci siano problemi con la ex datrice di lavoro il giorno della convocazione in prefettura. Perderei tutto», dice.

Per l’avvocato Asgi Salvatore Fachile il numero ridotto di domande pervenute (la platea potenziale era stimata in 600mila persone) e i tempi lunghissimi mostrano che la sanatoria ha fallito: «È un format vecchio, rivelatosi inefficace già in passato. Centinaia di migliaia di migranti senza permesso di soggiorno continuano a lavorare in nero: è indispensabile fare una scelta che consenta la loro regolarizzazione». Possibilità ce ne sono diverse, accomunate dall’idea di superare i provvedimenti spot. «Servono meccanismi permanenti e costanti di regolarizzazione su base individuale», ha detto Magi al question time.