«Eravamo comunisti. Vivevamo nella stessa casa, mangiavamo insieme e, siccome non capivamo niente di diritti d’autore e proprietà intellettuale, dividevamo i crediti delle canzoni equamente; in quattro». A parlare è lo Stooge supremo, Iggy Pop, al secolo James Osterberg. Una didascalia spiega che l’intervista si svolge in una località non meglio identificata e quindi sorge il sospetto che sia stata realizzata a Palm Desert, in California, durante la registrazione super segreta di Post Pop Depression (il disco scritto con Josh Homme). Con Gimme Danger, documentario dedicato agli Stooges, la rock band più influente di tutti i tempi, Jim Jarmusch non firma solo un omaggio teso e sentito ma offre un magnifico saggio di quello che una volta erano definiti «cultural studies«. Il regista contestualizza la parabola fulminea della band, e il suo doloroso implodere nel corso dei primi 70, nel quadro più ampio della società statunitense e del farsi della tv e del suo panorama massmediale.

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E se il nome della band deriva dal trio The Three Stooges, ensemble slapstick e vaudeville protagonista di oltre duecento corti prodotti dalla Colombia Pictures, il resto delle influenze di Pop e compagni è ricondotto alla tv Usa degli anni ’50. Come rovistando fra i detriti di un tubo catodico esploso, Jarmush ricompone letteralmente l’immagine primaria che ha dato vita agli Stooges; immagine ricoperta poi dalla leggenda prima e dal mito poi. Con la complicità di Pop, che si racconta, il regista ricostruisce non solo tutte le fasi che hanno poi condotto alla creazione della band ma, soprattutto, ne ricompone l’identikit poetico e creativo. In questo modo riconduce nell’alveo della storia degli Stooges un musicista come Harry Partch e sottolinea l’importanza di Nico, transfuga dai Velvet Underground, nella formazione intellettuale della giovanissima iguana. Attraverso una selezione di materiali d’archivio impressionante che attinge addirittura agli albori del gruppo, Jarmusch è come se in realtà raccontasse il farsi di un sentimento insurrezionale che covava e pulsava sotto la superficie dell’immagine ufficiale degli Stati uniti.

Certo, chi non conosce il capitolo della storia della musica rock che precede il punk britannico, che non sarebbe potuto esistere senza Iggy e i suoi scagnozzi, le numerose qualità del lavoro jarmushiano rischiano di non essere notate o apprezzate. Nel film, infatti, fanno la loro apparizione persino i britannici Pink Fairies, gli MC5 e le pantere bianche di John Sinclair. La traiettoria che dal primo album conduce all’introduzione nella Hall of Fame del rock’n’roll non è banalmente celebratoria.

Ciò che sta a cuore a Jarmusch (e a Iggy Pop) è l’idea di una differenza culturale, la possibilità di una irreducibile alterità; una rivoluzione permanente. Non a caso nel film ci parla chiaramente di «cultural treason» (tradimento culturale) e di come la cosiddetta summer of love sia stata in parte anche costruita e pilotata dalle sale conferenze degli executive delle major. L’astro degli Stooges è intercettato da David Bowie che produce il magnifico Raw Power.

Jarmusch, rispetto ai racconti dominati nei documentari rock, riserva alle droghe e agli exploit erotici il minimo indispensabili. Per il Jim Jarmusch storiografo rock, Iggy Pop è soprattutto un artista. Ed è nell’evidenziare le ramificazioni dell’onda lunga stoogesiana che si estende dai Dead Boys ai Dictators, da Sonic Youth ai Damned e i Ramones, che Jarmusch rivela una intelligenza critica pari a un Greil Marcus, Simon Reynolds e Jon Savage. «Ho contribuito a far fuori gli anni Sessanta», dichiara Iggy soddisfatto in un frammento che lo vede ospite di un salotto tv. Gimme Danger, anche se all’apparenza sembra rispettare tutte le convenzioni del classico doc rock, in realtà le sovverte in maniera colta, mettendosi in una posizione di ascolto e dialogo con i materiali e la storia della band.

A ben vedere, infatti, Gimme Danger, dedicato agli Stooges che nel frattempo sono scomparsi, è il luogo dove si raccolgono le voci morte. Il luogo dove i processi culturali e i fenomeni del linguaggio s’intrecciano con un sentire «popolare». Gimme Danger, come un corrispettivo cinematografico di Roadkill Rising e di Metallic K.O., celebra i sopravvissuti, onora i morti e invita alla rivolta.