Adattamento o morte. Il segretario generale delle Nazioni Unite António Guterres non ha usato mezzi termini alla presentazione della seconda parte del VI° Rapporto Ipcc, il comitato intergovernativo sui cambiamenti climatici, dedicato a impatti, adattamento e vulnerabilità. «Servono urgenti e radicali investimenti per opere di adattamento, di pari passo agli interventi sul fronte della mitigazione. Ogni ritardo significa morte, soprattutto nei paesi più fragili. Sono i paesi del G20 a dover indicare la strada», ha detto ieri intervenendo alla presentazione del Rapporto.

ADATTARSI AD UN CLIMA che è cambiato molto più in fretta di quanto ci si aspettasse 20 anni fa e che continuerà a cambiare nei prossimi decenni è uno dei temi più trascurati e più complessi da affrontare perché le soluzioni, dove esistono, vanno ricercate a livello regionale e locale, non certo globale, e non ne esistono di pre-confezionate.

L’UNICA BUONA NOTIZIA è che, dove messo in campo, l’adattamento funziona nel ridurre la vulnerabilità. Peccato che un paese come l’Italia non abbia ancora adottato il suo Piano nazionale di adattamento, che giace in attesa di approvazione dal 2018. Quindi non abbiamo una precisa scala di priorità di interventi né sono stati allocati fondi, se non fosse che nel Pnrr verranno finanziati un sistema «avanzato e integrato di monitoraggio e previsione» e sono previste «misure per la gestione del rischio alluvione per mettere in sicurezza 1,5 milioni di persone». Un vero piano ce l’hanno soltanto due regioni (Lombardia e Emilia Romagna) e alcune amministrazioni locali.

Eppure è noto da decenni che l’Italia si trova in una delle zone a maggiore rischio per gli effetti del riscaldamento globale. Nell’agosto scorso la prima parte del VI Rapporto Ipcc ha spiegato i meccanismi fisici che provocano il riscaldamento climatico per l’aumento delle concentrazioni di gas ad effetto serra in atmosfera. Ieri invece in sede IPCC è stato presentato il più completo rapporto di valutazione degli impatti climatici a cui sono esposti dai 3,3 ai 3,6 miliardi di persone nel mondo: si è parlato di vulnerabilità, ma anche di soluzioni e azioni di adattamento da intraprendere senza indugi, perché ulteriori tentennamenti potranno rivelarsi fatali in futuro. «Questo capitolo del Rapporto è un terribile avvertimento su quelle che potrebbero essere le conseguenze dell’inazione – ha sottolineato il presidente dell’Ipcc, il coreano Hoesung Lee – e dimostra che il cambiamento climatico costituisce una grave e crescente minaccia al nostro benessere e alla salute del pianeta».

IN OLTRE 3MILA PAGINE consultabili sul sito Ipcc.ch, 270 scienziati da 67 paesi, hanno fatto una valutazione complessiva dello stato della ricerca con un sempre maggiore sforzo di integrazione tra le scienze naturali, sociali ed economiche, evidenziando il ruolo della giustizia sociale e delle conoscenze di popolazioni indigene e comunità locali. Alternando allarmismo a segnali di speranza, gli autori Ipcc indicano vie d’uscita e individuano proprio nella natura un’alleata preziosa per ridurre i rischi e migliorare la vita delle persone. Varie fonti di ricerca dimostrano che gli ecosistemi sani sono quelli che meglio resistono agli attacchi della crisi climatica e che sono in grado di continuare a fornire all’uomo beni essenziali come acqua e cibo. «Gli studi più recenti, basati su una vasta gamma di prove, dimostrano che mantenere la resilienza della biodiversità e dei servizi ecosistemici a livello globale dipende dalla conservazione effettiva ed equa di circa il 30-50% della terra, degli oceani e dell’acqua dolce», è scritto nel Sommario per i decisori politici. Significa smettere di sfruttare indiscriminatamente circa metà del pianeta.

PER QUANTO RIGUARDA l’Europa, i rischi maggiori li corrono le zone del Sud e saranno proporzionali, qui come altrove, all’aumento delle temperature. Potranno aumentare mortalità, malattie e cambiamenti negli ecosistemi, tanto più gravi se raggiungeremo i 2°C di aumento della temperatura media (oggi siamo già a 1,1°C). C’è poi il rischio siccità e diminuzione delle rese dei raccolti che non verranno compensate dall’aumento delle rese nel nord Europa e, paradossalmente, il rischio di una crisi idrica associata a inondazioni e all’aumento del livello del mare. Che fare? Le opzioni di adattamento riguardano interventi negli edifici per migliorare l’isolamento, la pianificazione degli spazi urbani per aumentare ombreggiamenti e spazi verdi al fine di mitigare le isole di calore, mentre per gli ecosistemi le soluzioni vanno cercate nel recupero, espansione e connessione delle aree protette per offrire a piante e animali opportune vie di rifugio e fuga.

IN AGRICOLTURA, adattamento può significare irrigazione (se l’acqua c’è), cambio di colture, di varietà e di specie animali, oltre a tutte le tecniche agro-ecologiche per mantenere l’umidità del suolo. Per far fronte alla siccità servirà incrementare l’efficienza nell’uso e maggiore capacità di accumulo di acqua: oggi in Italia si stima che le perdite dovute alla siccità ammontino a 1,3 miliardi, che salirebbero a 4,3 miliardi a +2°C e 5,4 miliardi a +3°C, ma con misure di adattamento queste perdite potrebbero dimezzarsi. Altre opzioni come la de-salinizzazione dell’acqua marina non sono contemplate, anzi gli esperti la considerano un «maladattamento» in quanto estremamente energivora e produttrice di scarti difficili da smaltire.

PER IL RISCHIO ALLUVIONI come per l’innalzamento del livello dei mari, che continuerà inesorabile nei prossimi decenni e secoli, servirà mettere in sicurezza le singole zone a rischio con complessi interventi ingegneristici e di arretramento della linea di costa. Gli ostacoli maggiori alla realizzazione di questa serie di interventi in Europa, secondo l’Ipcc stanno in parte nell’entità delle risorse da mettere in campo, ma anche nella mancanza di impegno sia del settore privato che dei cittadini, nella mancanza di una leadership politica e nel fatto che ancora non sia percepita l’urgenza di queste azioni.